Cosa sono esattamente, come funzionano, quale volume di affari generano. Una guida scientifica
Ogni anno diventano un argomento di discussione. Con l’arrivo della stagione fredda, aumenta infatti vertiginosamente l’incidenza di sindromi influenzali, particolarmente pericolose per gli i anziani. Si tratta di un problema da non sottovalutare perché, oltre a debilitare il fisico di molte persone, crea numerose defezioni dai posti di lavoro e quindi pesa sulla produttività e sull’economia dello Stato.
Somministrare vaccini soprattutto alle persone a rischio o a chi svolge lavori socialmente indispensabili è importante anche dal punto di vista economico. Non a caso è proprio l’amministrazione statale a promuovere e favorire l’uso di vaccini anti-influenzali. Non solo: è ben noto a tutti che, per motivi analoghi, esistono vaccinazioni obbligatorie da fare nel periodo infantile. Nel contesto di tali azioni preventive ci sono forti interessi economici da parte delle imprese farmaceutiche, nonché un fervente impegno da parte di enti ed istituti di ricerca.
Ma come funziona un vaccino? Come può un'iniezione o una pillola proteggere dall’insorgenza di una malattia? Come può essere così specifica? Per rispondere a tali interrogativi è necessario spiegare qualcosa del sistema immunitario.
Il sistema immunitario
Si può paragonare il Sistema Immunitario (S.I.) a un esercito preposto alla difesa del nostro organismo. È, infatti, organizzato in strutture e agenti (le sentinelle) con il compito di rilevare l’attacco esterno e dare l’allarme al sistema di coordinamento (i generali comandanti) che poi gestisce le truppe preposte all’eliminazione dell’invasore. Di norma un agente, patogeno o meno, entra nel nostro corpo attraverso lesioni cutanee o oltrepassando le mucose dell’apparato respiratorio. Da qui viene subito rilevato oppure convogliato ad organi deputati (linfoidi). In entrambi i casi entrano in gioco le cellule sentinella, i fagociti. Come si può intuire dall’etimologia, tali cellule inglobano, mangiano, l’agente esterno e lo spezzettano. I frammenti ottenuti da questa azione di taglio chimico vengono esposti sulla superficie della stessa cellula inglobante: tale bizzarro comportamento si inserisce nel processo che attiva le cellule con funzione di generale comandante delle truppe operative. Parallelamente a ciò viene avviata la sintesi di particolari molecole proteiche che favoriscono l’eliminazione dell’invasore: gli anticorpi.
Proprio in virtù di tale definizione il fattore esterno viene nominato antigene (generatore di anticorpi).
Le cellule che dunque internalizzano l’antigene per poi esportarne sulla propria superficie le spoglie sono definite APC (Cellule che Presentano l’Antigene). In questo modo la cellula può comunicare all’esterno la propria condizione di fattore entrato in contatto con un antigene potenzialmente pericoloso. È a questo punto che i comadanti sopracitati, presenti nel torrente ematico e negli organi linfoidi, stabiliscono contatti con le stesse cellule sentinella che presentano l’antigene (APC). I comandanti si chiamano linfociti T Helper e derivano dal midollo osseo. Esse, una volta legatesi alle sentinelle liberano sostanze ormonali in grado di richiamare e comandare le truppe operative, anch’esse composte da linfociti, ma di tipo diverso (Linfociti T Citotossici). Tali agenti hanno il compito di eliminare fisicamente le cellule del corpo che espongono al loro esterno la sostanza o il fattore che ha invaso l’organismo. La loro azione è dunque rivolta anche contro gli stessi fagociti che pur facendo da sentinella e contribuendo all’eliminazione dell’avversario biologico sono state contagiate dallo stesso e per tanto vanno eliminate. In tal modo viene totalmente eradicata la presenza dell’agente pericoloso dall’organismo.
Alternativamente i linfociti T Helper, i generali comandanti, possono, in base al tipo di antigene esposto dalle APC, reclutare altri linfociti diversi dai citotossici visti prima (la truppa): i linfociti B.
Tale tipo cellulare può essere assimilato a un battaglione chimico, che mediante la secrezione di particolari sostanze favorisce l’eliminazione del nemico. Questi composti sono proprio gli anticorpi, che legandosi con alta specificità e tenacia al bersaglio antigenico lo rendono maggiormente riconoscibile dalle truppe operative (T citotossici).
I linfociti B di questo battaglione chimico e i T Helper possono subire un’ulteriore modificazione e diventare cellule cosiddette “della memoria”. Esse, anche molti anni dopo la fine del decorso della malattia continuano a circolare nel sangue e sono in grado di rispondere in modo molto rapido ed efficace ad eventuali attacchi successivi dello stesso tipo di antigene, impedendo la nuova insorgenza delle malattia. Un antigene di tipo differente non risveglia l’attività di tali cellule. È proprio grazie a tali cellule che interviene l’immunità specifica conseguente a malattie infettive come la varicella o il morbillo.
In definitiva, sono come un gruppo di soldati che, continuando a pattugliare il campo di battaglia dopo la fine delle ostilità, possono avvertire l’intero organismo dell’eventuale nuovo attacco dello stesso agente e scatenare una difesa efficace.
In questo ambito ricade la caratteristica dei vaccini: riuscire ad indurre la produzione di cellule della memoria senza causare i sintomi della malattia. Questa latente ma efficace reazione immunitaria può, in tali casi essere connaturata a fenomeni temporanei di malessere o febbre. È però ovvio che il gioco valga la candela, perché tali sintomi hanno gravità decisamente inferiore a quella della malattia stessa.
Come fa dunque il vaccino a produrre selettivamente tale risposta. Cos’è contenuto nelle fiale che il medico inietta?
I vaccini
Tenendo conto che è necessario indurre una risposta tipica delle fasi terminali del decorso di una malattia senza causare il morbo stesso, bisogna fare rilevare all’organismo la presenza di un agente infettante deprivato delle sue facoltà dannose. Sarebbe un po’ come iniettare nel corpo umano una bomba resa innocua dalle abili mani di un artificiere: appare come un ordigno pericoloso, ma non è più in grado di deflagrare. Andiamo con ordine.
Inattivazione
In certi casi possono essere iniettati virus o batteri trattati in laboratorio con tecniche che possono comprendere anche l’ingegneria genetica. Tali operazioni sono tese ad eliminare dal loro genoma quei tatti di DNA (geni) responsabili della sintesi di quei fattori che rendono patogeni tali organismi. In tal modo l’organismo “vede” il virus o il batterio inattivato e produce cellule della memoria adatte a funzionare anche contro l’eventuale attacco del corrispettivo patogeno. In tale tecnica è insito il rischio di contrarre (anche se con scarsa probabilità) la malattia da cui ci si intende difendere per l’accidentale riacquisizione delle potenzialità patogene del microrganismo iniettato.
Sfruttare il rivestimento
Una risposta immunitaria efficace può essere indotta anche con prodotti ottenuti mediante tecniche squisitamente biotecnologiche.
È possibile, infatti, in seguito all’identificazione dei geni corretti, produrre artificialmente porzioni del rivestimento in grado di indurre la risposta immunologia sfruttando l’attività di microrganismi da laboratorio. Tale opportunità non presenta le controindicazioni sopracitate. Normalmente si tratta di porzioni del rivestimento esterno che per prime entrano in contatto con le sentinelle del corpo umano. In questo caso sarebbe come sfruttare solo parti superficiali della bomba vista prima, come la spoletta o la sicura: s’intuisce facilmente la bassa pericolosità di tale tecnica.
Sfruttare i progetti dei componenti chiave
Analogamente a tale tecnica possono essere somministrati i geni che codificano per quelle parti proteiche del microorganismo importanti nell’induzione della risposta immunologia. Tali geni sono assorbiti dalle cellule che poi li esprimono e producono nell’organismo il composto utile. Sono possibili anche soluzioni che prevedono lo sfruttamento contemporaneo di più tecniche.
Organismi inattivati
L’ultima possibilità, peraltro maggiormente usata nei tempi passati è quella che prevede l’utilizzo di microrganismi completamente inattivati o uccisi, non in grado dunque nemmeno di moltiplicarsi.
Ogni malattia richiede l’utilizzo di specifiche tecniche per ottenere un vaccino funzionale, determinate dalle caratteristiche dell’antigene che le genera e la ricerca scientifica deve vagliare le soluzioni ottimali. Un vaccino, inoltre, per poter essere considerato ideale, deve avere altre caratteristiche di ordine pratico ed economico. Essendo richiesto, infatti, anche per malattie che affliggono il Terzo Mondo, deve avere dei costi contenuti di produzione, obbiettivo quanto mai difficile quando si impieghino tecniche di ingegneria genetica. Inoltre deve essere resistente ad eventuali variazioni dei parametri chimico fisici del clima. In conclusione, dunque, si tratta di composti estremamente utili per l’uomo e, parallelamente, costituiscono un vero e proprio business per le industrie farmaceutiche. Tali aziende, continuando ad investire molto denaro in tale ambito, fronteggiano le nuove malattie che continuano a comparire sulla scena mondiale.
Le informazioni contenute in questo articolo sono puramente informative. Rivolgersi sempre al proprio medico
fonte: ilcassetto.it (scritto da francesco agostini nel 2006)
foto: giovanimedici.myblog.it
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