Come spesso accade, l’esperienza diretta fa cambiare la prospettiva sulle cose. In questi giorni sono in congedo di paternità. Lavoro a Londra e una recente legge britannica consente agli uomini di godere di dieci giorni (dunque, due settimane piene) di congedo di paternità entro le prime otto settimane di vita della creatura (nel mio caso una femmina). Ho capito una cosa veramente banale, ma importante: questa legge non è per le donne, ma per gli uomini.
Esiste una larga fetta degli uomini con bambini che, a differenza delle precedenti generazioni, non vive la paternità in maniera subalterna. Una fetta amplissima di coppie in cui il lavoro di lui non è più importante del lavoro di lei e in cui, di conseguenza e con banale normalità, il lavoro di cura viene condiviso. La maternità è un evento, naturalmente, fisico oltre che emozionale, e si può condividere solo parzialmente, e l’allattamento è un altro elemento fondamentale che motiva un lungo congedo. Tuttavia, dalla nascita di un figlio la vita di un uomo che cerca di condividere il condivisibile è rivoluzionata quanto può arrivare ad esserlo, e due settimane di pausa dal lavoro aiutano non poco.
Aiutano nelle cose pratiche, alleviano gli arretrati di incombenze che inevitabilmente si sono accumulate, consentono di passare un po’ di giorni di grazia, con calma, mentre la nuova arrivata si fa conoscere. In poche parole, sono un riconoscimento sociale di un lavoro familiare maschile non indifferente, ed è stato fino a ora completamente ignorato. Un riconoscimento sociale e un aiuto concreto, appunto, destinato non alle madri, che già lo hanno, ma ai padri. Per consentire, a chi lo volesse, di modificare più in profondità le abitudini sociali ci vorrebbero certo misure diverse, di non facile elaborazione. La possibilità di un congedo di mesi consentirebbe anche agli uomini di organizzare i loro piani lavorativi di breve termine in maniera diversa, come già fanno le donne.
Dal punto di vista della sostenibilità economica significherebbe raddoppiare i congedi di maternità e dunque comporterebbe dei costi opportunità da valutare. Il congedo breve, invece, non può avere alcun impatto sulle abitudini sociali, dato che ne usufruirà chi già avrebbe comunque vissuto fino in fondo l’impatto esistenziale di un figlio, mentre chi ha compiuto altre scelte non potrebbe modificarle per due settimane. Allo stesso tempo, l’obbligatorietà sminuirebbe, io credo, il valore di chi sceglie una paternità vera e non solo nominale, consentendo agli altri una facile vacanza (e alla moglie, presumibilmente, un doppio lavoro di cura!). Spunti di riflessione anche per i legislatori italiani - in particolare Mosca e Saltamartini - che negli scorsi mesi vi hanno ragionato in maniera intelligente, con discussioni e proposte.
Marco Simoni - London School of Economics
unita.it
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