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Home Page > TUTTO IO DEVO FARE > Articolo Inserito il  27/12/2012





Natale  

Il giorno in sé è piuttosto antipatico, una forzatura sotto tanti aspetti, a partire dalla quantità dei pasti e dalla loro elaborazione, dagli avanzi, dai regali, fatti, ricevuti e riciclati, spesso tanto attesi quanto deludenti, e dalla compagnia, dovuta se non addirittura imposta. Non ricordo un 25 dicembre senza discussioni, senza rancori fino a ieri assopiti e adesso risvegliati, nelle famiglie che si allargano solamente per l'occasione di una ricorrenza, un cenone o un pranzo, dopodiché arrivederci e grazie, al prossimo anno, fortuna che è finita pure 'sta festa del cavolo.
Telefonate, sms, e-mail, fra persone che per 365 giorni non si sono rivolte un saluto, ma adesso è Natale e siamo tutti più buoni, e le lettere ben auguranti per le feste si fanno, si ricevono e si ricambiano, anche fra gente che non si conosce o di cui ci si è dimenticati. Ci sono poi i silenzi, gli auguri che si scordano o non si vogliono fare, anche questo è un messaggio, una specie di vendetta neanche troppo sottile, nemmeno celata, dato che il più delle volte è reciproca e nessuno, a dire il vero, rimane più male se qualcuno non si è fatto vivo per l'occasione. Ne conosciamo le ragioni, infondo, e sono misere e grasse al tempo stesso, così come gli esiti a cui conducono.
Ciò che è evidente, secondo me, è un'indifferenza di fondo, costante, sia che si faccia e sia che non si faccia, che si partecipi o meno, che ci si veda o non, che ci si senta o che il telefono non squilli affatto. L'unica cosa che conta è non restare soli, il giorno di Natale, e riempire questa voragine, questa paura del vuoto, in un modo o in un altro. Ecco perché si rispolvera la vecchia rubrica telefonica e si sta insieme, anche con persone fra di loro estranee, o ci si fanno i dispetti, approfittando di una presunta, momentanea fragilità dell'altro.
Questa festa non càpita soltanto nel giorno di Natale, ma inizia settimane prima, da quando se ne comincia a parlare e i negozi si addobbano, sempre troppo in anticipo, mi pare, fa ancora caldo e i supermercati già vendono panettoni e torroni. Insomma, si è capito, il Natale non mi piace, se non fosse l'occasione per stare un po' di più con i figli, dato che per i bambini ci sono le vacanze e i grandi per qualche giorno non lavorano. E poi, lo si dice e lo è, questa è la loro festa, con Babbo Natale che porta i regali, quasi tutti se li ha trovati o ha fatto in tempo a fabbricarli, presenti in una lista spedita qualche giorno prima al suo indirizzo, al Polo Nord.
Per me quel che conta non è il giorno di Natale, ma la possibilità che le feste offrono, a chi si ama, per un piccolo periodo, di stare insieme, di guardare e ascoltare con più attenzione rispetto ai giorni 'normali', di accorgersi di un sorriso, di saper vedere la felicità o, a volte, l'infelicità di qualcuno, di essere, in questo senso, più sensibili, di dedicare più tempo a chi si vuole bene.
Sentire, parlare, giocare insieme, senza dover pensare ad altro, senza distrazioni. Questo e nient'altro, per me, dovrebbe essere una festa. Ad esempio, assistere alla recita nel teatro della scuola ed emozionarsi soltanto perché Dodokko è vestito da Babbo Natale e compie più volte il giro del palco, attorno ai suoi compagni, con un sacco pieno di regali sulle spalle, fra le note di banali canzoncine natalizie. Andare con i bambini alla finestra per vedere se in cielo riusciamo ad avvistare la slitta di Babbo Natale. Accorgermi di non aver fatto mai caso, prima, a un modo di ridere incontenibile, ed essere felice che ciò succeda ai miei figli, per un periodo di tempo che è soltanto un momento, ma la cosa importante è che, per ora, questo lo sappia soltanto io e non loro. Parlare del 'futuro', e del lavoro che "voglio fare da grande": "Posso fare l'elfo, l'aiutante di Babbo Natale?", "Certo che puoi, ma dovresti restare bassino", "Beh, ci saranno anche degli elfi grandi, no?".
E, ancora, dedicare del tempo a parlare col più piccolo, che adesso adora ripete le parole...
Le parole che hanno da sempre un riferimento comune, che già c'erano nelle orecchie e nella mente, ascoltate e dette in silenzio, e che adesso dalla bocca escono a modo loro, con alcune lettere sbagliate al posto di altre giuste, ma è il suono quel che conta, accanto alla soddisfazione di pronunciarle.
Quella voce che mi fa venire i brividi per quanto è dolce e che soltanto poco tempo fa, mi viene da pensare, ancora neanche esisteva.

Cristiano Camera - www.figlio-padre.com


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