Fin dove si può spingere un padre che vuole educare il figlio di sei anni allergico allo studio? Può minacciarlo di farlo stare in ginocchio sui ceci come usava un tempo nelle scuole del Regno? Può permettergli di guardare la tv quando fa i compiti o deve impedirlo? Può controllare che stia seduto per ore sui libri anzichè distrarsi e mettersi a giocare? In soldoni: quando finisce lo sforzo educativo e cominciano i maltrattamenti? Argomento di attualità, ieri al centro di un processo.
Imputato, giudicato con rito abbreviato dopo due anni assolto per non aver commesso il fatto e uscito dal tribunale in singhiozzi per la gioia e la liberazione, un meridionale trapiantato a Reggio che, messosi assieme a una donna già madre di un figlio, ha poi avuto da lei una figlia. I due convivevano. E quell’uomo all’antica si è sentito in dovere di svolgere le funzioni di padre anche nei confronti di un figlio che non era suo. Forse eccedendo, o forse esercitando quel ruolo con giusta severità. Fatto è che il bambino, si è appreso in aula, era recalcitrante: e con quel padre acquisito non aveva certo un rapporto idilliaco. In seguito la coppia si è divisa. E nei confronti dell’uomo l’ex compagna ha sporto querela per maltrattamenti in famiglia e pure per molestie in quanto, dopo la separazione, si era messo a telefonarle con insistenza (per poter vedere la figlioletta, pare). La querelante, assistita da un legale modenese, ha chiesto un risarcimento di 25 mila euro. L’uomo è stato rinviato a giudizio e ieri, difeso dall’avvocato Alessandro Conti, è comparso davanti al gip Cristina Beretti.
L’avvocato Conti, nell’arringa, ha sostenuto con forza che il suo assistito - incensurato, una persona onesta - ha fatto valere nei confronti del bambino la prerogativa che si richiede a un buon educatore. «Ben vengano metodi rigorosi: sono legittimi e vanno applicati» ha detto. Quanto alle molestie telefoniche, erano solo legittimi tentativi di un padre che voleva vedere la figlia. Il giudice ha assolto da entrambi i reati «per non aver commesso il fatto». In attesa della motivazione è presumibile che il giudice abbia ravvisato tutt’al più un’ipotesi di abuso di mezzi di correzione, che però non si qualifica se non si provocano conseguenze fisiche e psichiche sulla vittima: cosa che in questo caso non si è verificata. All’avvocato Conti ieri sera abbiamo chiesto se suo padre Galileo (notissimo avvocato oggi in pensione) abbia mai usato con lui la punizione dei ceci. «Non ce n’era bisogno perchè a scuola me la cavavo, ma in caso contrario... Alla San Vincenzo c’era la signorina Beccaluva che ci metteva le dita in su e poi bacchettava. Era la prassi».
ilrestodelcarlino.it
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