Il lavoro casalingo sta cambiando: quasi la metà degli uomini con moglie lavoratrice cucina, un terzo pulisce e fa la spesa. Anche la pubblicità comincia a tenerne conto, modificando - quando si tratta di lanciare un detersivo - ruoli e mansioni del quadretto familiare. (segue dalla copertina) Certo la strada per arrivare alla condivisione totale è ancora lunga: le donne, secondo un'indagine Isfol dedicano alla casa 2 ore e 23 minuti al giorno, gli uomini cinquanta minuti. E quando si tratta di aprire l'asse da stiro la «condivisione dei ruoli» svanisce come neve al sole: evoluto quanto vuoi, ma solo l'1,1 per cento degli uomini affronta l'ardua battaglia con il ferro a vapore. Stessa fuga davanti al cambio di stagione degli armadi.
Eppure un segnale che le cose stanno cambiando arriva anche dall'Inail: secondo l'ente antinfortunistico gli uomini «casalinghi» in Italia sono 22.600. Poco peso: l'1,1 per cento degli iscritti appena, ma già qualcosa se si pensa che negli anni Novanta il vocabolo ufficialmente non esisteva. Lo racconta Fiorenzo Bresciani, leader dell'Asuc, l'associazione uomini casalinghi.
«Quindici anni fa vendetti la mia attività e decidemmo di vivere con lo stipendio di mia moglie, io mi sarei occupato di tutto il resto.
Andai in Comune per rinnovare la carta d'identità, ma per scrivere "casalingo" alla voce professione ho dovuto lottare, insistere, battere il pugno sul tavolo. Mi volevano convincere che ero "disoccupato". Ma quale disoccupato! Io lavoro dalla mattina alla sera. Stare a casa mi piace, mi sono organizzato, stiro benissimo, faccio corsi per insegnare come si fa e sono contento del mio lavoro. Vorrei solo che il mio ruolo fosse riconosciuto, stimato e apprezzato, ma su questo fronte, in quindici anni, poco è cambiato». Ora all'Asuc sono iscritti in 5.600 e «la crisi economica ha inciso parecchio» dice Bresciani.
Qualche mese fa l'associazione ha organizzato il suo primo congresso nazionale e sul sito (Asuc.it), oltre ai consigli sull'Rc auto e a quelli sui biberon, ora ci sono imperiose dichiarazioni di battaglia ("Casalinghi italiani unitevi") e certezze assolute ("Il grembiule è maschio").
La maggioranza degli uomini però si accontenta di fare molto di meno, anche perché le compagne non spronano. Secondo l'ultimo rapporto Eurispes il 49,3 per cento delle donne chiede aiuto in casa solo in forma occasionale. Ecco perché in alcuni Comuni italiani le Pari Opportunità ha deciso di dare una spinta alla «coesione».
E' successo a Ravenna, dove l'assessore Giovanna Piaia ha appena avviato una campagna sociale che punta a coinvolgere il mondo maschile nei lavori domestici. Lo slogan è chiaro: «Ci sono donne che non devono chiedere mai, non in Italia», gli obiettivi ancora di più. Il corso si articolerà su sette lezioni, la prima che si terrà il 14 marzo affronterà il tema «come sopravvivere al supermercato», ma si parlerà anche di piccole riparazioni («mi attacchi un bottone») e di lavaggio e stiraggio e alimentazione («mangio con la testa«). Ingresso libero e, sembrerebbe, numeroso. «Riceviamo moltissime telefonate - assicura l'assessore oltre ogni aspettativa. Abbiamo scelto un approccio leggero, ma le intenzioni sono molto serie: la parità moltiplica, per tutti, le opportunità e la comunicazione fra maschi e femmine serve ad allontanare violenza, stress, incomprensione. E per questo che vado a parlare di tutto questo nelle scuole e nelle piazze di Ravenna: sono contenta che i dati Istat segnalino un miglioramento, ma la condivisione del lavoro domestico è ancora davvero limitata». L'accoglienza all'iniziativa è stata ottima - assicura l'assessore - anche se con il Pdl all'opposizione qualche problema c'è stato (le accuse erano di sperpero del denaro pubblico: la Piaia ha precisato che tutto e gratis e che ad «insegnare» sono solo associazioni di volontariato).
Prima di Ravenna però ci aveva già provato Torino: ad inventare lo slogan e la campagna importata in Emilia-Romagna è stata infatti l'associazione Scambiaidee di Elena Rosa che nel capoluogo piemontese ha puntato alla comunicazione, piuttosto chea corsi verie propri.
«Secondo lo studio del World economic forum l'Italia ha il divario uomo-donna più ampio d'Europa - assicura - siamo all'84esimo posto nel mondo, è tempo di cambiare».
I tempi sono in via di maturazione, soprattutto nelle coppie più giovane e con i più elevati titoli di studio dove il lavoro delle donne è un diritto che nessuno mette in discussione e la precarietà e scarsità di reddito rendono indispensabile la doppia entrata. Secondo l'ultimo rapporto Eurispes, infatti, l'84,6 per cento degli uomini laureati considera il cucinare un'attività del tutto normale, ma la percentuale scende al 7,7 se la risposta è data da mariti e compagni con la sola licenza elementare . Gli stessi che ritengono davvero «inopportuno» stirare (46 per cento) e solo «a volte necessario» stare con i figli (54 per cento circa).
Certo, oltre la metà degli uomini italiani resta fortemente convinto che in fondo «i lavori domestici siano più adatti alle donne che agli uomini» e quando si tratta di dare una mano in casa non va oltre alla gestione delle bollette, alle piccole riparazionie al lancio del sacchetto dell'immondizia nel cassonetto.
Piace anche la spesa al supermercato, che ricorda l'ancestrale ruolo del procacciare il cibo, e - sarà la fame- lo stendere la tovaglia per il pranzo ( lo fa «frequentemente» il 53 per cento degli uomini).
Eppure Bresciani, leader dei casalinghi , assicura che lavorare in casa non è affatto male e che per stirare senza ansie basta «accendere la tivù o mettere un po' di musica». «Chiariamo - precisa - non si capisce perché un uomo che ha i pantaloni non possa stirare e spolverare. La donna lo ha fatto per millenni, ora tocca a noi». E a chi gli parla di frustrazione, di mancanza di riconoscimento, di ripetitività delle mansioni Bresciani risponde: «Siamo proprio sicuri che otto ore alla catena di montaggio di Mirafiori rendano l'uomo più sereno e soddisfatto?».
- LUISA GRION
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