Prima di cominciare a recitare nei film di tuo padre, andavi spesso a trovarlo sul set?
«Io e mio fratello passavamo svariate settimane sui set. Moby Dick è il primo che ricordo. Siamo anche stati a lungo a Tobago per L’anima e la carne. È stato uno dei periodi più felici della mia vita. Avere tre anni, a Tobago, era una meraviglia».
Quali sono i tuoi primi ricordi di tuo padre al lavoro?
«Beh, ricordo che ci portava in giro per il set di Moby Dick e ricordo un uomo con un alto cappello nero, casse per terra e funi arrotolate, e mio padre al centro che in qualche modo faceva succedere tutto. E poi ricordo quand’ero bambina, in cima alle scale di una casa che aveva affittato in Irlanda, un grosso maniero in pietra grigia nella contea di Kildare. Lui stava lavorando con qualcuno, e faceva avanti e indietro dal salotto all’ingresso. Ci era stato detto che nostro padre lavorava così, e mi raccomando, “non disturbatelo”. Lo guardavo andare avanti e indietro, e parlare, e fumare. Ricordo di aver pensato che era così che papà lavorava».
Hai dei ricordi di Orson Welles?
«Mio padre fece con Orson The Other Side of the Wind e mi raccontava di quanto fosse entusiasmante lavorare con lui e che era convinto che Orson avesse catturato qualcosa in quel film che non era mai stato colto prima. Lo ammirava enormemente. Orson per me era questa figura gigantesca, deflagrante, un uomo con una voce enorme e una risata enorme... e un corpo enorme. Mi sentivo svenire quand’ero nella stessa stanza con lui. Ricordo che una volta a pranzo quasi persi i sensi, letteralmente, solo per l’incredibile quantità di piatti che aveva ordinato, e per il modo in cui mangiava. Ti dava il capogiro!».
Tuo padre, dicono, non parlava dei film dei colleghi; anzi, parlare di cinema non gli interessava molto.
«Non è del tutto vero: per esempio, una volta feci un’osservazione oziosa su I compari di Robert Altman, dissi che mi aveva lasciata fredda. E mio padre mi fece ripercorrere tutto il film, a memoria, una scena dopo l’altra. Quando finì, pensai: “Oh mio dio, che grande film!”. Fu stupefacente, ricordava ogni singola cosa. Sapeva parlare di cinema. Se ne aveva voglia, sapeva farlo eccome. Ma non in modo ozioso, non è che si metteva lì a discettare di questo e di quello...».
Forse gli interessava di più parlare di letteratura...
«Mio padre andava matto per le storie. Gli piaceva tanto raccontare storie, e quando un regista era bravo a raccontare una storia, lui ci godeva. Willy Wyler: mio padre era un grande fan di Willy, lo stimava moltissimo. Era molto fedele alle sue scelte, ma stranamente non ricordo, per esempio, di averlo sentito parlare di Preston Sturges, che penso fosse uno dei suoi preferiti. Mi sa che papà fosse anche molto competitivo».
La cosa che mi colpisce di più, di tuo padre è che sintetizzava la grammatica cinematografica e questo gli permetteva di prendere alcune scorciatoie. Mi chiedo se questo sia mai stato per te, come attrice, motivo di frustrazione.
«No, mai. L’unica cosa che ogni tanto mi preoccupava un po’, ma neanche troppo, era che se papà era soddisfatto del secondo ciak, quello era. Fine. Non ne girava un terzo per sicurezza. Diceva: “Ok, questa è fatta, andiamo avanti”. Se volevi un terzo ciak, dovevi motivare la tua richiesta. Era molto frugale. Non voleva girare troppe volte una scena perché in caso contrario qualcun altro avrebbe potuto farsi un’idea di come montare il materiale; in pratica montava direttamente in macchina. In questo modo, nessuno avrebbe potuto montare in modo diverso».
C’è chi ha tentato di individuare dei temi unificanti nell’opera di tuo padre. Secondo te, c’è un filo rosso che corre lungo tutto i suoi film, da Il mistero del falco a The Dead?
«Una volta, ha più o meno definito la cosa più importante della vita, quella per lui più preziosa, ed era l’interesse. Credo sia questo il filo rosso dei suoi film, il fattore interesse: cosa succede dopo? Cosa faranno dopo queste persone?»
Hai dei film preferiti?
«Adoro Gli spostati, sono una fan accanita di Gli spostati. E ovviamente, sì, della sua tristezza... è un film così profondo. È un’incredibile elegia».
Molti suoi film raccontano di persone che sfidano la sorte per realizzare un obiettivo folle. Pensando a The Dead, alle condizioni di salute di tuo padre, pensi che fare il film sia stato per lui l’espressione concreta di quel tema?
«Penso che il film parli del suo amore. Parli dell’amore del passato: l’amore per le persone della sua vita, l’amore per l’Irlanda. L’amore per la sua famiglia, sia per chi era ancora con lui, che per chi se n’era ormai andato».
lastampa.it
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