Un'ecatombe: è crollata la famiglia al completo sotto i colpi dei virus della stagione influenzale 2010-2011. In totale quarantena da 10 giorni, in isolamento forzato, lontano perfino dalle pagine di questo blog, a cadere sono stati, in ordine cronologico: il sottoscritto, il primogenito, la moglie e - ultimo - il neonato di un mese. Febbre altissima per tutti, tosse e raffreddore, disagi intestinali, i sintomi che ci hanno colpiti con una forza violenta e cieca e che non ha fatto distinzioni nemmeno per le fasce d'età più deboli: un'influenza per quattro, moltiplicata quattro.
Ma non è con il racconto di questi malanni stagionali che voglio tediarvi, ma desidero parlarvi piuttosto di come venga affrontata l'emergenza epidemica nella famiglia media, di qual è di solito l'intervento del pediatra, dello stare tutti insieme in famiglia grazie a un avvenimento negativo come una malattia, del sole beffardo che, a discapito di tutto, è sempre stato presente in questi giorni e che però abbiamo intravisto soltanto dalla finestra. E poi, vorrei parlare anche...dei polli di batteria.
Anzi, intendo iniziare proprio dall'allevamento intensivo dei pennuti per rileggere a grandi linee, sotto questa lente d'ingrandimento, la famiglia nella nostra società e i bambini all'interno di essa. Ho detto tante volte in questo blog di come l'allevamento dei figli oggi mi sembri comparabile al quello degli animali. Me ne sono accorto quando ho dovuto mandare Dodokko al nido, in un posto lontano dal luogo ideale e naturale quale dovrebbe essere una sede, come la famiglia, dove il contatto continuativo - e mai interrotto - con i genitori sia sempre assicurato. Il nido, una struttura spesso sovraffolata, tanto estraniante psicologicamente, e un ricettacolo di malattie, dove ci si infetta di continuo, a parte le piccole pause costituite dai brevi momenti in cui si è appena guariti e nelle quali vi si è costretti a tornare, secondo lo schema consolidato nido/malattia-casa/guarigione e - di nuovo, inevitabilmente - nido/malattia. Il lavoro di entrambi i genitori, purtroppo, è la causa per la quale siamo costretti ad affidare alle cure altrui i figli: cure altrui, di gente pagata per farlo, che quindi si prende cura di loro per lavoro e dietro compenso. Si direbbe che anche qui, nella famiglia e nella gestione dei figli, sia il mercato e non una legge naturale - se possibile matrilineare - a dettare le regole, a stabilire chi fa cosa, quanto e quando.
Ma torniamo ai polli e alla loro influenza: il primo ad ammalarsi sono stato io, che mi sono preso qualche virus, sul treno pieno di gente oppure sull'autobus di cui mi servo per andare al lavoro, e l'ho portato a casa per regalarlo ai miei cari, come un frutto maturo di stagione. Poi si sono ammalati, uno a uno, tutti gli altri: anche qui la causa che mi salta all'occhio è la nostra stretta vicinanza nello spazio di una casa, la totale mancanza di una vita all'aria aperta, dove i germi si trasmettono con minore facilità. Vorrei che tutti noi, come dei polli ruspanti, potessimo razzolare un poco nell'aia e che i miei figli avessero maggiori occasioni per giocare all'aria aperta assieme a bambini della loro età. Invece, dopo l'asilo, esiste soltanto la televisione nell'attesa del ritorno del genitore, in un salotto dalle finestra serrate.
Il pediatra, che è venuto a casa a visitare i due figli, ha dato una cortese 'occhiata' anche ai genitori e ha prescritto loro, in modo del tutto preventivo, degli antibiotici, al fine di evitare le sicure complicazioni batteriche che successivamente sarebbero state trasmesse anche ai figli. Ora, di questi tempi in cui siamo genericamente informati su tutto, sappiamo che in caso di influenza non si devono prendere gli antibiotici, dato che non servono a nulla contro i virus e che prescriverli in modo cautelativo non è altro che un enorme eccesso di zelo, nonchè un'imprudenza nei riguardi del futuro, soprattutto se si pensa ai sempre più diffusi batteri resistenti - divenuti tali proprio per l'uso smodato e insensato che di questi farmaci si è fatto nel passato - i quali sono ormai inattaccabili da qualsivoglia medicinale. Ma tant'è, l'antibiotico ce lo siamo preso lo stesso...e, nel mio caso, per paura che la profezia del pediatra potesse avverarsi e quindi potessi infettare i bambini anche con una seconda ondata di germi. E poi perché la profilassi, in questi casi, è identica a quella in uso nei pollai. Nei pollai come gli studi medici pediatrici, in questa stagione affollati come un ufficio postale alla scadenza del pagamento di qualche tassa. Ci sono andato soltanto per ritirare le ricette della dottoressa e durante la fila in attesa del mio turno, fra starnuti, colpi di tosse e rantoli bronchiali, ho ascoltato qualche scambio di battute e qualche telefonata disperata di genitori con la segretaria, la quale dopo aver detto a tutti di rimandare gli appuntamenti perché c'erano già più di venti piccoli pazienti in lista, consigliava sempre gli stessi farmaci, quelli che la sua datrice di lavoro "indicava per tutti".
L'unico lato positivo e la sola differenza con un allevamento di polli, quando una famiglia intera si ammala, è la possibilità di stare tutti insieme, anche se dispiace doverlo fare stando al chiuso. Fuori dalla finestra si sono succedute giornate di sole splendide ed è stato un peccato non poter uscire all'aria aperta. Abbiamo goduto in ogni caso della luce radiosa del sole, che si è preso continuamente gioco di noi, e anche del fatto di non aver dovuto, in casa nostra, far ricorso come in un pollaio alla luce artificiale delle lampade al neon.
Nei momenti in cui il sole è andato via, e la sera prima di andare a dormire, è bastato il sorriso dei bambini a rischiarare le stanze dove siamo stati male.
Scritto da Cristiano - www.figliopadre.com
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