Voleva stare a casa ad accudire il figlio appena nato, l'ottavo di una bella e numerosa famiglia del Cuneese. Voleva che fossero concesse a lui le due ore giornaliere di riposo dal lavoro (il cosiddetto permesso per "allattamento"), che fino a un anno di vita del bambino spettano alle mamme o, in alternativa, ai papà. Ma un carabiniere di Cuneo si è visto negare questo diritto con la motivazione che la moglie è casalinga e quindi toccava a lei badare alla prole. L'uomo non si è perso d'animo, ha fatto ricorso al Tar e l'ha vinto.
La vicenda giudiziaria è iniziata a febbraio, quando è nato l'ottavo figlio e il carabiniere ha fatto la richiesta (respinta) di un orario ridotto, usufruendo dei permessi dell'articolo 40 del decreto legislativo 151 del 2001. In realtà già con il settimo figlio il carabiniere aveva chiesto invano ai suoi superiori gli stessi permessi, ma aveva scelto di fare un ricorso interno all'amministrazione, che era stato respinto. Stavolta, invece, l'uomo si è rivolto alla consigliera delle pari opportunità della Provincia di Cuneo, Daniela Contin, ovvero l'istituzione solitamente interpellata per difendere le donne dalle ingiustizie e dalle ineguaglianze sul posto di lavoro, ma che ha accettato al volo di accompagnare quell'uomo desideroso di essere un papà più presente.
Assieme a lei, assistiti dall'avvocato Chiara Servetti, hanno quindi presentato un ricorso al Tar del Piemonte contro il ministero della Difesa. L'Arma dei carabinieri infatti - contrariamente ad altri settori del pubblico impiego, in cui il lavoro casalingo è equiparato a quello dipendente - con una serie di linee guida interne ha sempre negato ai suoi uomini di poter godere di "riposi di paternità" se le mogli non avevano un impiego. Ma il tribunale amministrativo regionale ha negato questa prassi e ha accertato il diritto del carabiniere di godere dei permessi.
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