In una delle nove prigioni di Rikers Island, a New York, un'isola controllata da mille poliziotti stretta tra Queens, il Bronx e vicino all'aeroporto LaGuardia, otto prigionieri dell'Eric M. Taylor Center hanno appena completato un corso di cinque settimane chiamato "Daddy and Me".
C'erano una volta otto uomini cattivi. A forza di essere
puniti e di aver letto mille libri chiusi nelle celle di isolamento, erano diventati più buoni. Sentivano la mancanza dei loro bambini. E così il direttore del carcere decise di premiarli. Avrebbero registrato le proprie voci mentre leggevano favole. E quelle voci, solo quelle, sarebbero potute uscire dall'isola. Tornare a casa, nelle camerette, sedersi ai piedi del lettini. E cominciare a raccontare.
"Le persone hanno diverse dimensioni", ha spiegato Dora B. Schriro, a capo del dipartimento correttivo del carcere: "Parte di essere un uomo è quella di essere un padre. Parte di essere un brav'uomo è quella di essere un bravo padre". E' la prima volta che viene tentato un esperimento di questo tipo a Rikers, dal '96 sono state piuttosto le madri detenute ad avere contatti con i propri figli.
Con un finanziamento di 3,800 dollari, il programma del Taylor Center è stato gestito da Nick Higgins, che organizza la libreria delle prigioni: "L'obiettivo era quello di cambiare l'attitudine dei detenuti, quella di farli tornare indietro, di ritrovare ciò che stanno perdendo", ha detto Higgins. Le favole hanno una morale e un lieto fine. Per questo si raccontano ai bambini. Insegnare loro il bene e il male per un adulto può essere un modo di riappropiarsene. Ripassare antiche lezioni, o impararle dal principio.
Il New York Times ha seguito l'intero progetto e poi ha raccontato la storia di tre di questi otto uomini. Il primo si chiama José Rosado, o José Rosaldo, o José Reyes (nella foto). Ha diversi nomi, a seconda del capo di imputazione. In prigione è conosciuto come "il professore", 42 anni, ex tossicodipendente, una moglie senza più pazienza, e tre figli. Dal 1989 è uscito e entrato dal carcere. Ha trovato il suo modo per viaggiare con la testa solo leggendo. Quando lo tenevano in isolamento per lo più. "Sapere le cose ti può portare in molti posti", ha detto Mr. Rosado.
E' uno dei prescelti per tornare a essere voce e per tornare dai suoi figli. Ha letto per loro in una saletta di registrazione allestita nel carcere, "Fox in Socks" (La volpe in calzini), "Hop on Pop" e "Clifford y la Hora del Baño", nella sua madre lingua, quella che parlava nei vicoli di Brooklyn.
Il secondo prigioniero si chiama Juan Camacho, 35 anni, spacciatore e padre di due figli. Lui ha scelto "The Cat in the Hat" (Il gatto nel cappello) del Dr. Seuss. L'ultimo è Qaaid Reddick, 27 anni, che non ha mai incontrato la sua terza figlia nata quando era già in carcere per possesso d'armi. Ha scelto la scimmietta Curious George, in una favola natalizia, perché "la scimmia è la cosa più simile a un essere umano", ha raccontato poi nell'intervista.
Nelle cinque settimane dell'esperimento questi uomini hanno adattato le loro voci ai personaggi. Hanno piegato il tono roco in falsetti da elfi, la pesantezza in espressioni buffe, il silenzio in rumorose esclamazioni. Hanno inventato suoni, dato vita a fatine, maghi, bimbi coraggiosi e scimmiette parlanti. L'hanno fatto per i figli, ma si sono ritrovati con una morale della storia. Alla fine dell'esperimento il direttore del carcere gli ha permesso di incontrare le famiglie in una sala speciale. Allestita per l'occasione. Sedie piccole, ciambelle e succhi di frutta. Gli uomini hanno potuto tenere sulle ginocchia i bimbi e raccontargli le favole, così come avevano imparato a fare nelle ultime settimane.
Durante le registrazioni delle storie, alcuni hanno fatto parlare i personaggi in slang, in rima, come se fossero testi hip hop, altre volte hanno aggiunto messaggi personali. "Ricordati di mangiare la frutta" o "quando senti la mia voce ricordati che papà è sempre lì con te". Dopo la visita concessa ai prigionieri, che sono arrivati vestiti con la divisa del carcere e pieni di tatuaggi coi nomi delle mogli e dei figli, le guardie hanno detto di essere rimaste a guardare rilassate.
Hanno portato succhi di frutta ai bambini. Hanno lasciato che quella parentesi fosse reale, vera, pulita. Come le camerette dei bambini di notte. Come le favole lette su libri illuminati da luci basse. E per un pomeriggio, prima di tornare in cella, prima che le madri riprendessero l'autobus e i bambini per tornare indietro, tutti hanno potuto vivere di nuovo felici e contenti. Normali. In grado di essere ancora solo otto papà in viaggio.
repubblica.it
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