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Lo so che sono la persona meno adatta a parlarne, ad azzardare - data la mia età - ipotesi riguardo il momento estremo del passaggio dalla vita alla morte. Mi riferisco a quei pochi minuti o secondi in cui il corpo e la mente transitano dall'una all'altra: è vero che durante il trapasso, anche se il cuore cessa di battere, l'attività cerebrale continua, anche se per un brevissimo lasso di tempo? Ed è vero che gli occhi conservano per un poco l'ultima immagine fotografata e che la luce non si spegne proprio subito? Ed è vero che in quei rapidi frangenti guardiamo la morte in faccia?
Non ho risposte in merito, ma quel che so è che nel passaggio inverso, dal corpo materno alla vita nel mondo esterno, mi porto dietro e tardano a scomparire alcune ombre che appartengono al mio stadio intrauterino. Istanti di tenebra che ancora si alternano, come in una danza, ai sempre più frequenti momenti in cui il colore predomina la scena.
In tali spazi temporali le mie pupille vagano come farfalle fra un sonno e l'altro, nelle pause che sono le mie veglie. Quando sono aperti, i miei occhi possono guardare in faccia la vita e ogni foma di esistenza occupa adesso un posto che era vacante, fino a ieri, nel mio mondo onirico.
Pennarelli nuovi colorano le ombre, il foglio di carta non è più nero, lo sguardo afferra il movimento e lo fa suo. Quando mi sveglio abbandono il buio e mi impossesso della vita, con ogni forza che ho in corpo o semplicemente con un grido.
Scritto da Cristiano Camera - piccoloilmondo.blogspot.com
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