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Cocchi di mamma e cocche di papà? Una sfortuna. Il falso mito del figlio prediletto
Pubblicato il: 27/11/2010  Nella Sezione: Libri
"Essere il cocco di mamma o la cocca di papà è sempre stata ritenuta una fortuna. E invece non lo è. Quella del figlio prediletto è una sindrome che condiziona lo sviluppo della personalità e da adulto comporta problemi di coppia o sul lavoro". A sostenere questa tesi è la psicologa e psicoterapeuta Anna Zanardi, direttore scientifico della testata Psychologies Italia di Hachette, che presenta ad Affaritaliani.it il suo libro "Cocchi di mamma, cocche di papà. Riconoscere il proprio ruolo e vivere in armonia" (ed. Tecniche Nuove S.p.A.).

Cosa significa essere il cocco di mamma o la cocca di papà? Ed è un fenomeno solo italiano?
"E'' un fenomeno che accade soprattutto nelle famiglie italiane, ma è diffuso un po'' in tutte le società mitteleuropee, dalla Francia alla Germania, in cui c''è una frequente prevalenza di rapporti privilegiati tra genitori e figli. In apparenza questi rapporti sono ritenuti positivi, invece possono portare a ricadute difficili quando si è grandi. Essere il figlio preferito vuol dire essere ricoperto di aspettative molto elevate e andare incontro a un''adultizzazione precoce. I cocchi di mamma e le cocche di papà sono abituate a trascorrere molto tempo con gli adulti e giocano meno dei loro coetanei. Ma così non si abituano a stare in compagnia dei loro ''pari'' e questo comporterà delle difficoltà nel rapporto di coppia o sul lavoro, nella gestione dei collaboratori per esempio. Si sentiranno sempre superiori o inferiori agli altri e non avranno molta stabilità".

Un fenomeno che lei analizza adesso perché è più frequente che in passato?
"In realtà c''è sempre stato, ma oggi si sta evidenziando in maniera sicuramente più massiccia, perché le famiglie sono meno numerose e i rapporti coi figli diventano più intensi, con conseguenze sempre più evidenti a livello sociale. Essere il figlio prediletto significa sentirsi speciale, ma anche eessere continuamente chiamato a dare delle prestazioni di alto livello. Chi cresce in una situazione simile poi tende a fuggire e a voler cambiare spesso situazione di vita, che si tratti del partner o del posto di lavoro. Oggi nella società c''è un elevato turnover in ogni campo, perché c''è un''insoddisfazione diffusa. Se non ci si sente speciali come quando si era piccoli, ci si sente inutili e incapaci. Oppure, al contrario, si diventa molto arroganti: essendo abituati a risolvere i problemi degli adulti ''rendendoli felici'', da grandi si continua a sentirsi in diritto di insegnare al capo piuttosto che alla moglie come comportarsi. Non c''è la capacità di cogliere la normalità, si guarda sempre all''eccezionalità".

I fattori socio-economici e culturali quanto influiscono?
"Non molto. Il fenomeno dipende piuttosto dal numero di figli e dal fatto che i genitori di oggi appartengono a quella generazione del Sessantotto che fortemente contrastò i propri genitori. Stravolsero la relazione genitoriale, ritrovandosi oggi con bisogni irrisolti e con la necessità di chiedere la soddisfazione ai figli, che a loro volta crescono frustrati. I Sessantottini contestavano i metodi educativi dei genitori, ma oggi sono loro che stanno condizionando negativamente i propri figli".

Chi sono i cocchi di mamma famosi?
"Molti dei nostri politici. Da Berlusconi a Casini e Bersani, tutti hanno avuto delle madri amorevoli e ''ingombranti'', come da loro stesso ammesso, e di conseuguenza delle mogli ''nascoste'' al loro fianco. Perché gli uomini che hanno una relazione patologica con la madre, poi è difficile che possano realmente concedersi all''incontro con un''altra donna".

E le cocche di mamma famose?
"Direi tutta la serie delle veline e starlette. Ragazze che, abituate ad essere osannate dal papà, da grandi vogliono continuare a essere l''orgoglio di qualcuno, come lo erano del padre, basando tutto principalmente sull''aspetto fisico. Per questo si divorzia più spesso (ci si accorge dopo pochi anni di matrimonio che il marito non è come il papà) ed è da qui che nasce tutta la competizione femminile, in ogni campo: è il bisogno di sentirsi sempre la prima dell''harem, per così dire".

Si può ''uscire'' da questa sindrome?
"Sì, bisogna innanzitutto diventarne consapevoli. Quando ci si rende conto della fatica che si fa per essere sempre i primi, si cambia la prospettiva. ci si rilassa, si vive più serenamente. Nella seconda parte del mio libro indico proprio delle storie, dei racconti e degli esercizi per aiutare a riflettere".

Maria Carla Rota

affaritaliani.it