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"Left By the Ship": documentario italiano sui bambini filippini abbandonati dai soldati USA
Pubblicato il: 09/11/2010  Nella Sezione: Paternità

Si svolgerà a Firenze, dal 13 al 20 novembre, la 51esima edizione del Festival dei Popoli – Festival Internazionale dei film documentari.

“Non voglio nulla da te, tranne che tu sappia che io esisto”. Con queste parole, Robert si rivolge al padre sconosciuto in Left By the Ship, il film documentario di Emma Rossi-Landi ed Alberto Vendemmiati che racconta quattro variazioni sul tema dell’abbandono. Un abbandono molto particolare. Le vite di Robert, Jr, Charlene e Margarita hanno infatti in comune una condizione che segna indelebilmente le loro esistenze: essere Amerasian. Figli di soldati americani e di madri filippine, quasi sempre prostitute. Le loro storie testimoniano la violazione del più basilare dei diritti umani: il diritto di nascita. Cioè il diritto ad essere riconosciuti e ad avere un’identità. E il documentario, con uno stile narrativo e d’osservazione, coglie le conseguenze di questa ingiustizia, nell’intreccio delle esistenze dei quattro protagonisti. 

Left by the ship (inwan ng barko), cioè abbandonati dalle navi, è solo il più comune tra i tanti modi dispregiativi con cui questi ragazzi sono apostrofati. Le variazioni sul tema sono infatti decine di migliaia, perché a tanto ammonta la vastità del fenomeno, che ha radici nelle strategie politiche militari globali, a partire dalla seconda guerra mondiale. Per capire chi siano gli Amerasian bisogna voltarsi e guardare indietro nella Storia.

Dopo tre secoli di dominazione spagnola, nel 1898 le Filippine vengono vendute agli Stati Uniti per 20 milioni di dollari, in conseguenza della guerra ispano americana. Da allora le Filippine sono state prima una colonia, poi un protettorato ed infine un alleato degli Stati Uniti. Unico Paese cattolico di tutto l’Estremo Oriente, è tra i paesi più poveri dell’area. 

Per gli americani l’arcipelago delle Filippine, più di 7000 isole,  è stato per decenni di importanza strategica costante, dalla seconda Guerra mondiale, a quelle di Corea e del Vietnam.  Avere un alleato in Asia era fondamentale per gli USA che, dagli anni quaranta in poi, collocarono proprio nelle Filippine le più grandi basi militari  al di fuori del suolo americano. 

La base navale di Subic Bay, insieme a quella aerea di Clark ad Angeles City, aveva il preciso scopo di provvedere al “Rest & Recreation” dei soldati e dei marinai che venivano qui in licenza dopo periodi di combattimento. La base era cosi grande che, anche in periodi di pace, diverse migliaia di soldati americani vi risiedevano in pianta stabile.

La città di Olongapo, sviluppatasi lungo i confini della gigantesca base di Subic Bay, era un piccolo villaggio di pescatori prima che arrivassero gli americani. L’economia e la crescita della città si basarono sulle esigenze della base militare. Nacque cosi uno dei quartieri a luce rossa più grandi dell’Asia.

Moltissime ragazze provenienti dalle province più povere del Paese arrivarono in città spinte dalla povertà, spesso erano minorenni vendute dalle loro stesse famiglie, altre volte giovani donne arrivate inseguendo la prospettiva di guadagni facili, ammagliate dal sogno americano.  Finirono per lavorare come “intrattenitrici”, “ballerine” o “hospitality girls” nei night che si susseguivano lungo le vie di Olongapo. Come Minda, madre di Jr, giunta qui all’età di quattordici anni, dalla poverissima provincia di Samar. In altri casi, come per Lillian, madre di Robert,  è stato piuttosto il contrario. Proprio la condizione “immorale” di ragazza madre le ha impedito di esercitare la professione di insegnante, ed è stata costretta a cercare lavoro nei night, seppure come cassiera.  

La legge Filippina condanna la prostituzione, e per questo le giovani donne esercitavano la loro professione al riparo nei night, in cui i gestori agivano da protettori,  scalando buona parte dei loro guadagni. Per salvare le apparenze, i clienti infatti incontravano le ragazze all’interno dei locali, poi pagavano al gestore il cosiddetto “Bar fine” per portarsi fuori la ragazza.

Si stima che fino agli anni ‘90 ci fossero circa 15000 ragazze che lavoravano nel red light district di Olongapo, su un a popolazione di meno di 100.000 persone. Ogni nave che arrivava, portava a bordo migliaia di uomini e in più c’erano i marinai che risiedevano li. All’esercito americano faceva comodo che i militari avessero un luogo dove svagarsi, per tenere alto il morale delle truppe. Benché formalmente anche le autorità americane condannassero la prostituzione, nella pratica la favorivano. 

Durante il periodo di permanenza della Base a Subic, gli statunitensi avevano addirittura istituito delle strutture sanitarie per il controllo delle malattie veneree, dove le ragazze venivano schedate ed esaminate periodicamente. Ma queste strutture non erano certo mirate alla protezione delle donne, che se malate semplicemente perdevano il lavoro. Erano piuttosto un modo per tutelare gli uomini, assicurandosi che la ragazze fossero “pulite”.

Data la natura stabile delle Basi, moltissime donne finivano per creare nel tempo rapporti duraturi con i soldati. Molti militari si trovavano a vivere li, o a tornarvi spesso, per diversi mesi. 

Beth, madre di Charlene, racconta della pratica di una tariffa mensile, nota come “Steady Bar Fine”, per cui il bar “affittava” le ragazze ai soldati per periodi prolungati. Lo Steady Bar Fine poteva durare parecchi mesi, interrompersi quando il cliente americano era via, e riprendere quando la sua nave tornava ad attraccare nel porto di Subic.

Le donne spesso finivano per fare da moglie all’americano, una moglie in affitto. Cucinavano, lavavano, pulivano. Lo aspettavano e al suo ritorno si occupavano di lui. Inevitabilmente nascevano dei figli.

In un Paese dal fervente cattolicesimo come le Filippine, le ragazze preferivano non sommare il Peccato della contraccezione a quello che già commettevano prostituendosi. Oltre a questo, c’era nelle donne la speranza del matrimonio, la speranza che questo loro “fidanzato” le portasse via dalla povertà, assieme ai loro figli, nell’opulente America.

E’ così che tra l’inizio degli anni cinquanta e il 1992, nelle sole zone di Angeles e Subic, sono nati più di 50000 bambini presto ribattezzati Amerasian dalla scrittrice americana Pearl S. Buck.

Molto raramente le relazioni tra le prostitute e i soldati avevano un lieto fine. Solo alcune ragazze si sono sposate e si sono trasferite a vivere negli Stati Uniti con i loro figli e i loro mariti. Ma nella quasi totalità dei casi, i soldati americani negavano la paternità di quei figli, o perché non si fidavano di queste donne conosciute come prostitute, o perché avevano un'altra famiglia a casa negli States. O semplicemente perché non avevano voglia di assumersi la responsabilità, come per il padre di Robert.  A volte, come è invece il caso di Jr, i bambini venivano anche legalmente riconosciuti dai soldati, che finivano comunque per partire e non tornare mai più.

E così, decine di migliaia di bambini sono cresciuti senza padre, un “esercito” di figli illegittimi, abbandonati e discriminati. Lasciati alle sole cure delle madri indigenti, le quali, psicologicamente provate da anni di abusi, non avevano alcuna possibilità di trovare un lavoro “rispettabile” avendo iniziato a prostituirsi da giovanissime e non avendo spesso neanche finito la scuola elementare. Molte donne hanno poi cercato di rifarsi una vita, sposando un uomo filippino e costruendo un'altra famiglia. Ma il figlio Amerasian viene quasi sempre rifiutato dal nuovo marito, essendo la prova vivente del passato della madre.

Come in altri paesi asiatici, gli Amerasian filippini sono enormemente discriminati dalla società in cui vivono. Le loro origini sono palesi, le portano impresse nei loro tratti somatici. I figli dei soldati statunitensi di colore sono sicuramente le vittime più esposte al razzismo e al pregiudizio. 

La vita degli Amerasian filippini è dolorosa sin dalla nascita. L’essere figli di prostitute e l’essere cresciuti senza padri (in un paese cattolico dove la famiglia è tutto) ne plasma il carattere. Le opportunità per loro sono poche, spesso crescono in povertà, senza possibilità di studiare, con grandi problemi famigliari. Faticano a trovare lavoro per via del loro aspetto, che tradisce le loro origini. Se donne, molto spesso finiscono a prostituirsi a loro volta.  La loro autostima è bassissima e cosi, spesso, gli Amerasian non hanno nessuna possibilità di inserimento sociale.

Malgrado lo stretto rapporto tra Stati Unti e Filippine, gli Amerasian Filippini incredibilmente sono gli unici (insieme ai giapponesi) a non essere stati riconosciuti dal governo Americano. Infatti nell’ottobre del 1982 il Senato degli Stati Uniti ha approvato la legge 97-359, concepita nell’intento di soccorrere gli Amerasian che vivono senza possibilità di sfuggire al loro stigma. Così, i figli di soldati Americani nati in Vietnam, in Corea, in Thailandia o in Laos hanno il diritto di diventare cittadini USA. I filippini non hanno questo privilegio. Un Amerasian vietnamita può richiedere la cittadinanza USA anche senza documenti (basta che abbia un aspetto occidentale) ma per gli Amerasian Filippini, l’unica speranza è quella di essere reclamato dal padre naturale. Un padre che li ha abbandonati alla nascita. 

Nel 1992, dopo la caduta del regime dittatoriale di Ferdinand Marcos, il Senato Filippino ha votato contro il rinnovo della permanenza delle basi USA nell’arcipelago. La fine della guerra fredda, la decisione del Senato e l’eruzione del Vulcano Pinatubo (che ha sommerso le due basi maggiori di polvere lavica) ha spinto gli Americani a chiudere le basi e lasciare le Filippine. La Base Navale di Subic è stata convertita in un porto franco. Qualche anno dopo, grazie al Visiting Forces Agreement, le navi americane sono tornate, anche se non per restare, ma per andare e venire a loro piacimento. Gli obbiettivi e le strategie militari sono nel frattempo cambiate: ora i nuovi nemici sono il terrorismo e gli islamici di Abu Sayyaf nelle isole meridionali del Paese.  La posizione strategica delle Filippine conserva comunque intatta tutta la sua valenza, soprattutto in relazione alla Cina.

Ad Olongapo, le cose non sono poi così cambiate. La gente comune resta chiusa fuori dal porto franco e la povertà è dolorosamente evidente. I bar che rimangono sono ora frequentati da turisti sessuali e da ex soldati americani che si sono trasferiti qui per godere da signori della loro misera pensione.

E gli Amerasian sono ancora qui. Diciotto anni dopo la chiusura delle basi, i più giovani di loro stanno diventando adulti, o lo sono da poco. Come Robert, Jr, Charlene e Margarita, di età compresa tra 13 e 30 anni. Il documentario Left by the Ship li segue per due anni nell’intento di esplorare gli effetti psicologici della loro condizione di Amerasian. I rapporti con le madri, la mancanza dei padri ed una quotidianità fatta di rifiuto e discriminazione sono al centro delle loro esistenze. La loro è una vita ad ostacoli, molti dei quali sono radicati nel profondo del loro animo ferito. Lottano per trovare un posto nel mondo, un’identità, un futuro, tentando di superare un passato del quale non sono in nessun modo responsabili. Per usare ancora le parole di Robert: “Nel mezzo delle macerie delle loro esistenze, puoi sempre vedere l’animo umano che lotta per liberarsi”.
  

LEFT BY THE SHIP

di Emma Rossi-Landi e Alberto Vendemmiati

Durata (81 min)

Anno di realizzazione 2010

Prodotto da VisitorQ, RAI Cinema, ITVS, YLE Finland

 

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