Nell’universo maschile, un posto importante spetta alla paternità”, mi dice la direttrice di Psychologies: “Prova a spiegare alle lettrici che cosa vuol dire essere padri, visto dalla parte degli uomini”. Ma non è mica facile... Come per l’innamoramento, ci avventuriamo in una materia, astratta per di più, più grande di noi. Una forza misteriosa che ci governa ben oltre la legge, la cultura dominante, il buon senso… È un po’ come chiarire perché la terra gira o il sole brucia. Perciò sgombro subito il campo: come accade anche alle signore, con emozioni diverse che proverò a indagare, desiderare di avere un figlio, secondo me, non è una scelta. Oddio, in verità io sono dell’idea che noi siamo in grado di prendere pochissime decisioni. Il colore della macchina nuova, della sdraio a tinta unita in giardino... Ma neanche. Chiamiamo “scelta” ciò che in realtà è già scritto, stampato e pubblicato nel nostro Dna. Per la mia esperienza, il libero arbitrio è illusione. Di più, presunzione. Così avviene che la tua anima venga inopinatamente “visitata” e si trasformi in maniera da poter accogliere un erede a casa tua... La “visita” può essere improvvisa e impetuosa, oppure delicata e diluita nel tempo, in modo che l’accettazione del nuovo stato mentale sia graduale e non così sconvolgente come nella prima ipotesi. Io ho provato entrambi i percorsi. Al tempo dei miei primi due bambini, adottati in un orfanotrofio alla periferia di San Paolo del Brasile, l’idea della paternità si insinuò piano piano, prima come un senso di attesa (piuttosto lunga, dati gli adempimenti burocratici...), di curiosità, giocosità, poi via via si tramutò in qualcosa di più consistente a mano a mano che il giorno dell’affidamento definitivo si stava avvicinando. Il terzo figlio, invece, è arrivato due anni fa, totalmente inaspettato, una specie di psico–tsunami, anche perché l’andrologo mi aveva diagnosticato un’irreversibile sterilità... Dev’essere a causa di questo rivolgimento se una delle cose che amo di più è andare in macchina col mio “ciuli” legato al seggiolino, rallentare in vista del semaforo per farlo diventare rosso, fermarmi e spostare fi nalmente lo specchietto retrovisore per osservare il riflesso del piccolo che dorme (o scruta i pedoni a bocca aperta). Suppongo che questo rimbambimento amoroso, comune immagino a tanti “nuovi padri”, sia un fenomeno degli ultimi anni, causato forse dal rapido, inarrestabile mutamento del ruolo della donna nella famiglia e nella società.
Ritorno allo stato di natura
Uno studio recente di un pool di pediatri e psicologi dell’Ospedale di Montecchio Emilia, dell’Ausl di Reggio Emilia e dell’Università di Parma è arrivato a questi risultati:
1. Contrariamente al passato, oggi i papà pensano che il bambino, subito dopo la nascita, desideri essere preso in braccio anche da loro;
2. Appena nato, il piccolo percepisce (sente), prova sentimenti (paura) ed è in grado di sognare;
3. La nascita di un bambino non “minaccia” la vita di coppia;
4. La maggior parte degli uomini si sente “padre per sempre” al primo sguardo occhi-negli-occhi;
5. Il neopapà forse sopravvaluta le proprie capacità di prendersi cura del piccolo, ma sicuramente non dà l’impressione di volersi fare da parte. “Emerge un padre attivo”, è la conclusione della ricerca, “che vuole essere coinvolto non come spettatore. E non sembra voler nascondere sentimenti che un tempo sarebbero stati etichettati come femminili”. Sembra quasi una transizione a uno stato di natura che è proprio di alcune specie animali, più di quante non si creda. Come i pinguini imperatori: sono i maschi a covare le uova. Oppure i castori: è il padre che insegna ai piccoli dove trovare i materiali per costruire e riparare le dighe. E sono i lupi maschi a giocare con i cuccioli...
Bisogno autentico o segno dei tempi?
In questi anni, lo spessore della figura paterna è sicuramente aumentato. E non mi riferisco soltanto ai padri separati, che magari recuperano affettività trascurate durante il matrimonio. Molti corsi preparto, ormai, prevedono la partecipazione maschile. L’accesso in sala, sempre più frequente, permette all’uomo di tenere in braccio il bambino appena nato e di stabilire così, immediatamente, un rapporto speciale. Già, ma questa “rivoluzione” potrebbe diventare un boomerang nelle relazioni familiari? Tanti “nuovi padri”, me compreso, confessano di sentirsi, a volte, sovrastati da richieste e responsabilità che non sempre riescono a soddisfare. È un fatto che sia aumentata l’aspettativa della donna di essere aiutata e sostenuta. Mi chiedo: il coinvolgimento che i padri hanno sin dalla nascita è un effetto delle nuove richieste femminili o un bisogno autentico emerso nell’uomo? Forse stiamo assistendo a una trasformazione un po’ confusa dei ruoli. Come uscirne? Gli esperti sostengono che oggi sia importante accordarsi in anticipo su chi fa che cosa, tenendo conto delle esigenze di entrambi i genitori. La maggior parte dei padri sono naturalmente protettivi e, al tempo stesso, stimolanti. Gli psicologi confermano, all’unanimità, che i bambini seguiti in maniera signifi cativa dai loro padri sviluppano processi cognitivi più brillanti. Un forte rapporto padre–figlio aumenta la stabilità, anche sociale, del minore. Che avrà maggiori probabilità, una volta adulto, di vivere una relazione di coppia più solida. Al contrario, i piccoli allevati in tutto o in parte senza papà, hanno una crescita, anche fisica, più “contratta”.
Sensibilità in progress
Sul sito paternitaoggi.it, c’è una descrizione quasi cinematografica, fatta da Claudio Carrara, consulente familiare, della mutazione dell’uomo di fronte al mistero della paternità. Nel primo tempo, diciamo, con i primi sospetti di gravidanza, esplodono emozioni come gioia, eccitazione (o shock, nel caso l’evento non sia desiderato). Poi, fra la dodicesima e la quindicesima settimana fino alla fine del secondo trimestre, l’uomo sembra voler “ritardare” il coinvolgimento, finché alla ventesima settimana le modificazioni fisiche della donna non gli permettono più di “negare” ciò che sta accadendo. Qui è possibile che nascano sentimenti di invidia per la compagna o di gelosia nei confronti del nascituro. Nel secondo tempo, invece, c’è la messa a fuoco del nuovo status che l’uomo va assumendo, e il rapporto con la compagna diventa più armonico e intimo. Ma non è escluso che compaiano sintomi psicosomatici (disturbi gastrointestinali, aumento di peso, abuso di alcool e tabacco) e, in alcuni casi, la ricerca di una relazione al di fuori della coppia. Comunque, si tratta di testimonianze di una nuova sensibilità. Pensiamo solo che, per millenni, abbiamo ignorato che fosse l’uomo a fecondare la compagna. E che l’idea di una superiorità intellettuale sulla donna, ciò che oggi chiamiamo “maschilismo”, nacque proprio quando l’uomo scoprì la sua funzione procreativa. Nella tragedia di Eschilo, Le Eumenidi, c’è un esempio famosissimo: Oreste uccide la madre e viene accusato dalle Erinni di aver versato così il suo stesso sangue. Ma Apollo risponde che è falso, perché la madre è una semplice nutrice: il sangue del figlio è solo quello del padre, unico vero genitore. In un decalogo pubblicato nel 1883 sulla rivista spagnola La madre y el niño (scovato da una blogger intraprendente, (amodomio-maggie.blogspot.com), si legge tra l’altro: “Il buon papà farà in modo che i suoi fi gli vedano in lui: quando bambini una forza che protegge, quando ragazzi un’intelligenza che insegna, quando uomini un amico che consiglia”. Ma non è mica facile...
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