«È finita». Phil Collins cambia mestiere: basta rockstar, diventa pater familias a tempo pieno. E lo annuncia, lui sempre low profile, in una stanzetta grigia con vista sul Lago di Ginevra che idealmente riflette una carriera stellare. Con Michael Jackson e Paul McCartney, Phil Collins è l’unico artista che abbia venduto almeno cento milioni di copie sia con una band (per lui i Genesis) che da solista. Più otto Grammy Awards e un Oscar. Adesso basta. Come Tina Turner, come Cher, stacca la corrente. E dopo il nuovo (e splendido) cd di soul Going back, Philip David Charles Collins, nato a sud di Londra nel 1951, crescerà i figli Matthew e Nicholas, cinque e nove anni, nel villone che fu di Jackie Stewart in riva al lago. Fine. «Ora voglio svegliarmi al mattino e poter decidere cosa fare invece di essere obbligato ad andare a Parigi o chissà dove». Oddio, lo dice da anni: signori, fare la rockstar è bello ma grazie e arrivederci. Poi ci ripensa. Stavolta no. E, attenzione, guai a fargli cambiare idea.
Ma scusi, Phil Collins, milioni di fan la manderanno al diavolo.
«Lo so, la gente mi dirà: perché fermarti ora quando puoi ancora andare avanti?».
Però l’ha già ripetuto più volte.
«Diciamo che io sono come un diesel: fatico a far partire le mie decisioni ma poi non mi fermo più. Penso di aver fatto tutto quello che dovevo, come musicista».
Quindi rimane il resto.
«Rimane che ho due figli piccoli, che anche stamattina ho accompagnato a scuola. Con i miei primi tre (Simon, Lily e Joely - ndr) non l’avevo mai fatto. E non mi ero neanche reso conto di quale dolore stessi provocando loro. Ora con Matthew e Nicholas voglio fare il papà e basta».
Quand’era piccolo suo padre l’accompagnava a scuola?
«Ho avuto un’infanzia felice, mio papà era un abitudinario, usciva di casa e tornava sempre alle stesse ore».
Quindi non riscatta un trauma adolescenziale.
«No, la mia è un’esigenza che non ha radici psicanalitiche. È successo che, quando è nato Nicholas, ho iniziato a fare con lui ciò che avrei sempre dovuto fare. E ho scoperto che ero finalmente felice».
Quindi fine anche dei concerti e delle tournèe?
«Se il cd Going back (dedicato a molti classici della Motown - ndr) venderà particolarmente bene, magari terrò qualche concerto. Ma niente più. Sul palco mi diverto e mi piace. Ma quando sono in giro, mi rendo conto che tutto ciò mi tiene lontano dai miei figli».
Ma se ne è accorto dopo ben quarant’anni di musica?
«Ho lasciato la scuola e a diciannove anni sono entrato nei Genesis. Da allora non ho fatto altro. Mia moglie mi telefonava per dirmi: “Che bello, tu stasera vai a un party a Chicago. Io invece sono a casa con i bambini”. Una sensazione orribile».
Si dirà che lei si ritira anche per i guai all’udito e alle mani.
«Un’infezione ha danneggiato il timpano destro e problemi nevralgici, per i quali ho già subito un intervento al collo e presto ne subirò un altro, mi hanno anche tolto la sensibilità della punta delle dita. Quattro mesi fa il medico mi ha detto: in un anno la recupererai tutta. Ma questi problemi sono arrivati dopo la decisione di fermarmi».
Allora può fare un bilancio della sua carriera.
«Il momento più bello è stato suonare la batteria nella tournèe con Eric Clapton del 1986. E poi il Live Aid. O la mia big band degli anni Novanta. O la prima volta che sono andato al primo posto in classifica».
Scusi: e i Genesis, la band grazie alla quale è diventato famosissimo?
«Con loro ho trascorso tantissimi anni, ecco».
E il peggior momento?
«La campagna diffamatoria dei tabloid inglesi durante il mio secondo divorzio intorno al 1995. Si inventarono tutto e io ne soffrii molto».
Adesso lascia: e per l’addio ha scelto di registrare un disco di canzoni soul per lo più degli anni Sessanta.
«Erano quelle che ascoltava mia mamma quand’era nel cucinino di casa. E io le ho volute riproporre identiche».
Allora si scopre che il filo conduttore di una delle rockstar più famose di sempre non è la musica ma la famiglia.
«E infatti garantisco che se ora, anche se ho quasi sessant’anni, avessi tutti i miei figli cresciuti e realizzati, continuerei a fare quello che ho sempre fatto: il musicista».
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