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Maternità: si può pensare che possa essere un potere politico?
Pubblicato il: 16/04/2010 Nella Sezione: Paternità
"N.d.R. Ho trovato questo articolo che parla della maternità con un'altra ottica che potrebbe aprire polemiche e/o consensi. E' ben scritto e sicuramente fa riflettere.
Si parla di maternità come potere politico."
Un’altra prospettiva. Per nominare ciò che ancora oggi è così difficile ammettere, che la maternità sia un potere politico. Forse perché è il più assoluto e incontrovertibile.
Un potere che ispira sgomento e stupore negli uomini, da quando se ne ha memoria. Costretti ad assumere una iniquità costituzionale come la non capacità del proprio corpo di procreare direttamente. Tanto da doversi organizzare in altre strutture politiche, in altre forme di esistenza e creatività. In altre forme di controllo, di vita e di morte. In particolare sulle donne.
La maternità al contrario è una forma di potere anarchico e reazionario al tempo stesso, che consente ad ogni donna nel mondo in maniera individuale e senza alcuna forma di organizzazione collettiva, attraverso un rapporto sessuale che difficilmente le viene negato, di esercitare la propria influenza. Di avere un suddito/a per tutta la vita. La maternità, come la paternità, può assumere i contorni di una tirannia o di una più equa democrazia. Non sta al ruolo ovviamente, ma alla persona.
Questo è lo scacco della maternità: è un potere individuale e naturale. Non può essere sovvertito, sciolto o sostituito, stabilisce un legame indissolubile sul piano esistenziale.
All’immagine perentoria di un circolo esclusivo ed escludente - madre figlio/a - gli uomini hanno risposto con la costruzione di un’autorità pubblica e privata che potesse reggere il confronto. Il patriarcato in questa ottica può essere visto come una incessante guerra di riconquista. Non avrebbe avuto alcun’altra ragione altrimenti l’invenzione della patria potestà, di istituti linguistici e culturali perentoriamente declinati al maschile, di un immaginario che divide incessantemente le donne tra eterne corrotte o seduttrici.
Non è un caso che le donne e il loro corpo siano sempre state oggetto di politiche repressive e di contrasto della loro libera capacità di procreare. A parte pochi governi illuminati - certo non il nostro - questo accade ancora oggi in tutto il mondo, anche nelle democrazie più riconosciute come ad esempio quella statunitense.
Non è un caso che anche le religioni, fatte dagli uomini, abbiano concentrato nei secoli tutte le loro energie per controllare il corpo delle donne, in un’alternanza continua di demonizzazione e santificazione della loro rappresentazione, come se non fosse concepibile una immagine paritetica.
All’asimmetria procreativa gli uomini hanno risposto con una sottrazione esistenziale dello stesso segno: la colpevolizzazione della sessualità delle donne e la castrazione del loro piacere sessuale. L’invenzione del concetto di ‘puttana’, ovvero la fantasia e la pratica degli uomini di una relazione sessuale a pagamento, privata di coinvolgimento emotivo o di godimento reciproco, è ancora oggi funzionale al riequilibrio di una sessualità-affettività materna onnipotente. O forse al non potersene mai affrancare profondamente, al rimanere degli eterni sedotti.
All’interno di un nucleo familiare poi spesso è la madre che detta le leggi e impugna le relazioni affettive, come necessità o rivalsa di vita. Impiantando però un modello dannoso e liberticida.
Sempre come due facce di una stessa medaglia, la violenza maschile sulle donne soprattutto quando avviene in famiglia, viene ospitata nel senso comune come qualcosa di ineluttabile, anche perché rievocativa per tutti/e di relazioni primarie.
In ogni cultura non esiste un ruolo più glorificato e incrinabile di quello materno, ma fanno da contrappasso le migliaia di donne in carne ed ossa che in tutto il mondo vengono ridotte in schiavitù, violentate e uccise in quanto donne e solo per questo sacrificabili.
Ieri come oggi alla esclusione dal “gran gioco della vita”, gli uomini hanno risposto facendo pagare alle donne l’esclusione dal “gran gioco del mondo”.
Forse sarebbe utile immaginare che gli uomini tengano saldamente in mano la rappresentazione del potere pubblico, economico e collettivo come ‘legittima difesa’, come atto antiautoritario nei confronti del potere esistenziale-familiare da loro stessi rimesso dalle mani di una donna all’altra. Il potere pubblico che non cedono alle donne in realtà è altrove. Non a caso nei luoghi di lavoro, valvole di sfogo ben lontane dall’essere immuni da dinamiche personali, ancora oggi uomini di potere e non, ripropongono schemi e modelli di asservimento/cura femminile. A cui molte donne non fanno alcuna fatica a rispondere in maniera complementare, ben consapevoli delle ancestrali sicurezze che ne derivano. A discapito anche qui di autonomia e libertà personale.
Le lotte delle donne nei secoli e il femminismo negli anni ‘70 sono riusciti ad intaccare questi due ordini di potere, maschile e femminile, facendo scoprire alle donne che sia la violenza che la maternità non erano un destino ineluttabile e che godevano prima di tutto della dignità di persone.
Un modello consumista e politico sempre più becero oggi sembra riportare nel nostro Paese donne e uomini su antichi terreni di scontro e di complicità.
Sarebbe bello al contrario dare gambe e respiro ad una autentica modernità che individuasse proprio nell’attraversamento dei generi maschile-femminile una nuova frontiera da conquistare. Anche grazie alle nuove generazioni è possibile sperare che gli uomini vogliano riappropriarsi della propria storia accedendo alla stessa intensità di relazione e cura dei figli, e che le donne possano proiettare se stesse sempre più liberamente nel mondo.
fonte: zeroviolenzadonne.it
articolo di Monica Pepe
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