www.paternitaoggi.it

Home Page : Articolo : Stampa

Conviene essere un figlio maggiore: vengono coccolati di più
Pubblicato il: 11/02/2012  Nella Sezione: Primi anni

"N.d.R. - Come secondo genito ho sempre pensato di aver ricevuto maggiori coccole e più libertà. Ho sempre pensato che l'atteggiamento dei miei genitori avesse favorito una mia maggiore indipendenza. Mi sa che mi sbagliavo!"
    
I genitori trascorrono circa 3mila ore in più (ovvero 125 giorni) con i primogeniti rispetto agli altri figli
e queste attenzioni extra si tradurrebbero in migliori performance scolastiche quando sono più piccoli e in maggiori guadagni una volta diventati adulti. A sostenerlo è Joseph Price, professore di economia della “Brigham Young University” dello Utah, che ha studiato i risultati dell’American Times Use Survey (indagine governativa sulla quantità di tempo che la gente dedica a molteplici attività) su 21mila persone, paragonando le ore passate dalle famiglie con i figli e scoprendo così che, se apparentemente i genitori sembrano trascorrere più o meno lo stesso numero di ore con la prole in un determinato giorno, in realtà, quando si fa la somma complessiva del tempo dedicato ad ogni bambino fra i 4 e i 14 anni, viene fuori che quello più giovane ci ha rimesso almeno 3mila ore o 125 giorni.

LA SFORTUNA DI NON ESSERE I PRIMI - A detta di Price, che ha pubblicato la sua articolata analisi sull’ultimo numero del “Journal of Human Resources”, la differenza di trattamento sarebbe legata al fatto che le ore trascorse dai genitori con i figli su base giornaliera diminuiscono quando questi crescono e i primogeniti avrebbero così più attenzioni dei fratelli solo perché attraversano l’infanzia quando c’è complessivamente più tempo familiare da dividere. Non solo. Sempre in base alle ricerche del professore statunitense, ad andare a discapito dei secondogeniti non sarebbe solo la quantità del tempo che i genitori passano con loro, ma anche la qualità dello stesso.

AI PICCOLI TOCCA PIU' TV - E’ emerso, infatti, che i figli più giovani, anziché essere coinvolti dai genitori in attività gratificanti, vengono piazzati davanti alla televisione, con il risultato che la guardano molto di più rispetto a quanto facessero i fratelli più grandi alla loro stessa età (fra i 3 e i 13 anni), mentre non ci sarebbe alcun legame fra la condizione privilegiata dei primogeniti e il numero di membri che compongono la famiglia. «Sappiamo da tempo che i figli più grandi ottengono migliori risultati – ha spiegato Price nella sua relazione – ma se l’obiettivo come genitori è di pareggiare i risultati fra i figli, è bene conoscere questo modello e cercare di dare anche ai secondogeniti più “quality time” da trascorrere insieme».

GENITORI INCONSAPEVOLI
- Secondo la sociologa Suzanne Bianchi, i genitori non sarebbero però consapevoli di comportarsi in maniera differente con la prole. «Questo studio dimostra in maniera convincente che i genitori passano più tempo con i primogeniti – ha detto l’esperta al “Daily Mail” – anche se probabilmente la maggior parte non se ne rende davvero conto oppure è convinta di trattare tutti allo stesso modo».

LA SUPERIORITA' DEI PRIMOGENITI - La conferma della superiorità dei primogeniti era arrivata già nel giugno scorso, grazie allo studio di un team di epidemiologi norvegesi, pubblicato poi sulla rivista “Science and Intelligence”, che era arrivato alla conclusione che in una stessa famiglia chi nasce prima è più intelligente. Misurando, infatti, lo stato di salute, le condizioni familiari e, soprattutto, il quoziente intellettivo di 241.310 ragazzi norvegesi fra i 18 e i 19 anni, gli esperti dell’Università di Oslo avevano scoperto che i giovani con un fratello minore vantavano un QI superiore in media del 3% a quello del congiunto più piccolo (103,2 contro una media di 102,9 per i secondogeniti e di 100 per i terzogeniti). Un dato, a detta dei ricercatori, legato più all’ambiente familiare che a fattori genetici. In altre parole, a fare la differenza non sarebbe stato l’essere primogeniti, bensì il crescere come tale.

Fonte: corriere.it 
articolo di Simona Marchetti