In Italia ogni anno un giro d’affari fino a un miliardo di euro. Viaggio negli studi degli avvocati matrimonialisti più famosi
Nel 1995 i divorzi in Italia sono stati poco più di 27 mila, nel 2005 poco più di 47 mila, nel 2006 sono arrivati a oltre 60 mila (per la precisione 61.153, secondo le cifre del ministero della Giustizia). Secondo le statistiche delle associazioni «separati e divorziati», nel 2007 si sono contate circa 70 mila separazioni e 50 mila divorzi.
«I divorzi si dividono in due categorie: quelli congiunti e quelli giudiziali. Ovvero: quelli dove l’ex marito e la ex moglie sono d’accordo, in generale. E quelli dove, in un’iperbole senza fine, si può invece arrivare agli insulti, ai coltelli, agli investigatori, alle perizie, al Dna (Giorgio Giuttari, avvocato civilista specializzato in matrimoni).
Nel 2006 i divorzi giudiziali sono stati la metà di quelli congiunti (19 mila 659 contro 41 mila 494).
Per i divorzi congiunti si spendono dai 1.000-2.000 ai 10-15 mila euro (dipende dagli studi dove si decide di andare). I divorzi conflittuali sono invece, per definizione legale, senza tetto. Perché infinite sono le variabili che legano l’assistito al proprio avvocato. Qualche volta l’assistenza del legale diventa anche giornaliera. O, magari, richiede interventi extra e di emergenza, come l’accompagnamento in un pronto soccorso o in un ospedale. E poi ci sono le coppie che, oltre che unite in matrimonio, si erano unite anche in affari societari. Insomma: il business delle operazioni legali per lo scioglimento del vincolo del matrimonio è difficilmente quantificabile, perché è la causa stessa del divorzio che, di per sé, ha un valore indeterminabile (si dice proprio così in termini tecnici). Ad ogni modo si parla di un giro d’affari che ogni anno, in Italia, fattura in media dai 500 milioni al miliardo di euro.
«La spesa minima per una separazione consensuale è di 4.000 euro, comprensiva di consulenza legale (1.500 euro la tariffa minima) e riacquisto dei prodotti prima utilizzati in coppia, quali elettrodomestici e accessori vari, per circa 2.000 euro di spesa. Ma se si arriva al divorzio e aggiungiamo spese extra, come quelle per le sedute dallo psicologo (in media 900 euro per 10 sedute), assegni di mantenimento (550 euro al mese), un nuovo mutuo da accendere (700 euro al mese) e un buon servizio di piatti (650 euro) andato in frantumi durante le litigate, si può arrivare a spendere anche poco meno di 30 mila euro in un anno. Considerando che circa una coppia su quattro, ogni anno, fa domanda di separazione, il giro d’affari solo di Roma è pari a circa 300 milioni di euro annui» (Carlo Pileri, Presidente dell’Adoc).
L’esperienza dimostra che la conflittualità fra moglie e marito in via di divorzio non dipende dall’entità dei patrimoni in gioco: «I due coniugi sono capaci di scannarsi alla stessa maniera per 200 euro o per 2 milioni» (Anna Maria Bernardini de Pace).
Le coppie più povere, quelle con reddito di 9.723 euro all’anno, possono divorziare ricorrendo al patrocinio a spese dello Stato.
Il divorzio più costoso del mondo, secondo Forbes, è stato quello del giocatore di basket Michael Jordan che per sciogliere il suo vincolo di matrimonio dalla moglie Juanita Vanoy, ex impiegata di banca, ha dovuto darle 150 milioni di euro. In Italia il record spetta al re dell’acciaio Giorgio Falck che alla moglie Rosanna Schiaffino lasciò oltre 4 miliardi di lire, l’attico di Milano, la casa di Cortina, la collezione di quadri, i mobili… In casi come questi, gli avvocati matrimonialisti ricevono assegni a quattro o persino cinque zeri.
Cesare Rimini, 76 anni, celebre matrimonialista italiano che nel 2007 ha ricevuto la medaglia dell’Ordine degli avvocati per i 50 anni di professione, sposato con Liliana, tre figli e nove nipoti, spiega che per fare il suo mestiere non esiste un iter specifico: «Si diventa avvocati e poi bisogna studiare bene – anche attraverso i corsi universitari e i corsi di aggiornamento - le norme del diritto di famiglia. A un giovane che vuol fare il matrimonialista consiglio di cominciare in uno studio di diritto civile, per avere preparazione più globale, e di continuare poi in uno studio specializzato in diritto di famiglia. Però non è facile farsi strada, perché non è facile stare a stretto contatto col proprio maestro: un cliente che rivela all’avvocato tragedie familiari e storie di corna, non ha voglia di avere tra i piedi un praticante che ascolta i fatti suoi». Che requisiti ci vogliono per fare questo mestiere? «Bisogna avere un forte interesse per la vita privata della gente, altrimenti meglio lasciar perdere. Io, dopo tanti anni, quando ho un appuntamento con un cliente nuovo ancora mi emoziono. Perché so che nel giro di venti minuti, di quella persona, saprò più del suo migliore amico. Il diritto di famiglia è uno specchio della società di grandissimo interesse. Chi fa questo lavoro non deve semplicemente applicare la legge. Deve cercare di capire cosa passa nella testa e nel cuore delle persone». E poi c’è il vantaggio delle parcelle d’oro… «Le parcelle degli avvocati dipendono dagli interessi in gioco. Io considero già una sconfitta fare una causa giudiziale. Se la testa funziona si trova un accordo. Soprattutto quando ci sono dei figli. Le battaglie sulla testa dei figli sono la tristezza di questo lavoro. Una sera di tanti anni fa la mia figlia più piccola mi disse: “C’è al telefono una bambina che ti vuole… piange”. Aveva undici anni e mi disse singhiozzando: “Diglielo tu che smettano di litigare”, e io sentivo le urla sullo sfondo. Non è difficile prevedere che queste esperienze un bambino se le porterà dietro per tutta la vita».
«Nessun luogo è più triste delle aule di tribunale in cui si divorzia. C’è sempre qualcuno che litiga furiosamente o qualcuno che singhiozza. Per non parlare dello squallore delle separazioni fasulle, coppie che si lasciano soltanto per ottenere agevolazioni fiscali» (Giorgio Giuttari).
Per concludere un divorzio congiunto ci vogliono in media 130 giorni. Per uno giudiziale oltre 670 giorni. Ma ci sono anche picchi di dieci o quindici anni.
«In Italia si fa prima a uccidere il coniuge piuttosto che a divorziare» (Francesco Greco, procuratore aggiunto di Milano).
In Spagna per divorziare davanti a un giudice bastano tre mesi di tempo dalla separazione e la richiesta anche da parte di un solo coniuge. In Francia, dal dicembre 2008, per le separazioni consensuali non serve neppure più il giudice di un tribunale: basta un notaio e una firma (niente più spese legali, insomma). In Irlanda ed in Polonia, Paesi cattolicissimi, i tempi del divorzio sono i più lunghi d’Europa: devono passare quattro anni dalla separazione per potere arrivare a parlare di scioglimento definitivo del vincolo. A Malta il divorzio è vietato (vengono ammessi soltanto quelli registrati da altri Paesi).
In Italia il sito divorzionline.it offre ai coniugi la possibilità di lasciarsi via Internet. Prezzi: 980 euro una separazione consensuale; 1.190 euro un divorzio congiunto.
Secondo Annamaria Bernardini de Pace, nota per l’assistenza professionale a tanti volti noti (tra le sue 27 mila cause conta personaggi come Simona Ventura e Eros Ramazzotti, Katia Ricciarelli e Romina Power), la professione dell’avvocato matrimonialista non è remunerativa come si favoleggia. «Gli avvocati che si occupano di società, in caso di acquisto o liquidazioni, possono arrivare come niente a parcelle da dieci milioni di euro. Nei divorzi – anche quelli vip – non si supera il milione e mezzo di euro. In America e in Inghilterra, dove l’Ordine degli avvocati regolamenta solo gli aspetti etici della professione, non le entrate, i matrimonialisti guadagnano quello che vogliono». Il marzo scorso il Consiglio nazionale forense l’ha sospesa per tre mesi dall’Albo degli avvocati: quattro clienti hanno presentato un esposto perché lei non avrebbe rispettato le tariffe professionali (una cliente, ad esempio, aveva dovuto sborsare, per una separazione, un anticipo di 39 mila euro). «Una decisione ingiusta che mi ha amareggiata profondamente anche perché credo debba allora diventare un problema non mio, ma di tutti gli avvocati che fanno diritto di famiglia. Le voci delle tariffe, non il loro valore, risalgono al 1933. Ma oggi siamo nel 2009 e tutto è cambiato: il mondo, il diritto di famiglia, l’atteggiamento verso la separazione, le molteplici e complesse questioni (contabili, mediche, sociali) che le tabelle del 1933 non prevedono e che io, facendo tutto questo lavoro (da nessuno mai contestato) ho messo nella tariffa dell’attività stragiudiziale. E per portare una coppia alla separazione consensuale può servire un anno di lavoro exstraprocesso». Quanti sono in Italia gli avvocati che si occupano solo di divorzi e separazioni? «Pochissimi. Di solito fanno tutto e anche il matrimoniale, io ad esempio faccio diritto della persona, che comprende anche il matrimoniale. Il matrimonialista, infatti, corre un forte rischio economico. Non ha entrate certe come un avvocato che lavora per le società, e può ad esempio stipulare contratti di consulenza annuale. Noi abbiamo a che fare con persone sempre diverse, e per guadagnare bene dobbiamo avere tanti clienti. Però non possiamo prenderne troppi, altrimenti non riusciamo a seguirli ». Lei quanti clienti ha? «Oggi ho uno studio con 17 avvocati – 18 contando anche me – 8 impiegati e diverse segretarie. E seguo di persona, con l’aiuto dei miei collaboratori, tutti i casi, circa 300-400 l’anno. Ma un avvocato che lavora da solo non può seguirne più di 100-150 l’anno». Quant’è la mole di lavoro del suo settore? «L’avvocato matrimonialista lavora sempre, perché col cliente si crea un rapporto umano di fiducia, di ascolto. Io do il mio cellulare a tutti, e più di una volta mi è capitato di rinunciare a una vacanza, anche a Natale, perché era in atto un dramma familiare». Meglio i clienti uomini o le donne? «Gli uomini all’inizio sono più diffidenti, ma quando poi si fidano, si fidano completamente». Ci racconta il divorzio più particolare che le è capitato? «Non esiste un divorzio più interessante di un altro, né un divorzio uguale a un altro. Ognuno ricama la sua vita a mano, e la straccia, in maniera diversa».
Secondo il rapporto Eures, in Italia, dal 1995 al 2005, i divorzi sono aumentati del 59 per cento. In pratica si sfascia una coppia ogni quattro minuti e il picco delle separazioni si registra fra il terzo e il quinto anno di matrimonio. Tra i motivi che dividono i coniugi c’è innanzitutto il lavoro: alla fine della giornata i due, stremati, non reggono alle difficoltà della convivenza. Seguono i suoceri: se è vero che aiutano i figli sposati a gestire problemi di soldi e di bambini, è altrettanto vero che s’impicciano troppo nelle scelte della coppia mandando in bestia generi e nuore.
Il record dei divorzi è in Liguria, dove falliscono nove matrimoni su dieci, la Regione dove ci si lascia meno è invece la Calabria (2,5 su dieci).
Secondo l’Istat a chiedere la separazione sono più le donne, mentre sono più uomini separati a chiedere il divorzio. Nel 2005, il 71,7% delle richieste di separazione è stato presentato dalla moglie, il 56,3% delle istanze di divorzio è stato presentato dal marito.
Secondo il Centro studi Ami (Associazione matrimonialisti italiani), nel 2007 e 2008 il 3,5 per cento delle sentenze ha stabilito che siano le mogli a mantenere i mariti. Il matrimonialista Gian Ettore Gassani: «Il sessanta per cento delle donne che mantengono l’ex coniuge esercitano una libera professione, il 25% sono imprenditrici e il 15% svolgono un’attività comunque ben remunerata. Quasi quattro su dieci, il 38%, sono più anziane dei mariti. E questo è interessante, ci spiega perché poi siano loro a dover versare gli alimenti o l’una tantum quando si divorzia. Negli ultimi anni le donne hanno sposato uomini più giovani e quindi anche meno inseriti sul piano professionale. È facile che poi siano loro a dover sostenere economicamente i mariti».
Che differenza c’è tra uomini e donne che si separano? «Le donne quando decidono di divorziare sono irremovibili. Gli uomini no, vivono la separazione come una tegola che gli è caduta in testa ingiustamente. Faccio un esempio: una mia cliente era disperata perché il marito s’era innamorato di un’altra e voleva divorziare. Quando la separazione era già in corso lui ha mollato l’altra ed è tornato dalla moglie, che tutta felice se l’è subito ripreso in casa. Qualche giorno fa la signora mi ha richiamato: suo marito ha cambiato di nuovo idea ed è tornato dall’altra. E ora i due coniugi dovranno riavviare da capo la causa di separazione» (Giorgio Giuttari).
Ultima moda tra chi divorzia, i divorce party. Tra le regole di buona educazione che i coniugi in rotta devono osservare: essere concordi nell’organizzare la festa, avvisare figli e parenti, specificare negli inviti che i doni non dovranno essere cumulativi, ma studiati apposta per ciascuno dei due ex sposi. Il primo a organizzare in Italia feste di divorzio è il catanese Luca Melilli: «La prossima sarà quella di una facoltosa coppia di Malta. Accetto solo se i rapporti tra gli ex coniugi sono buoni, L’importante è curare tutto nei minimi dettagli per non cadere nel trash».
Nel libro Lasciamoci così… (Longanesi, 1994) Cesare Rimini ha raccontato fra l’altro alcuni aneddoti sui divorzi che gli sono capitati in cinquant’anni di professione. Qualche esempio: la moglie che, dopo ripetuti solleciti, restituisce il cane all’ex consorte spedendolo in taxi dalla Calabria a Milano (corsa di un milione e trecentomila lire, presumibilmente a carico del destinatario); la signora attempata che, subito dopo la sentenza, chiede all’avvocato di scattarle una foto insieme al giudice perché vuole conservare anche l’immagine del divorzio insieme a quelle del matrimonio; la moglie che aveva scelto un parrucchiere con due ingressi in modo da fingere di entrare per la messa in piega e poi uscire dall’altra parte per raggiungere l’amante; il marito che aveva trasformato il camper in pied-à-terre, per far salire al volo l’amata tra i vicoli della città.
«I coniugi gelosi non hanno mai evitato un adulterio, ma certamente hanno stimolato soluzioni ingegnose» (Cesare Rimini)
fonte: vocearancio.ingdirect.it