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In Lombardia non si partorisce in casa, ma non per scelta
Pubblicato il: 16/11/2009 Nella Sezione: Parto
Partorire a domicilio? Una scelta che alle famiglie lombarde tocca pagare di tasca propria , nonostante il diritto ad ottenere il relativo rimborso dalle aziende sanitarie locali .
La denuncia viene dalla sezione provinciale del Movimento per la difesa del cittadino, che ha preso in carico l’appello di Marta Campiotti , presidente dell’Associazione Nazionale Culturale Ostetriche Parto a Domicilio e anima di una Casa Maternità a Induno Olona , che accoglie le donne in attesa e le partorienti decise ad evitare l’ospedale.
«Ad oggi in Lombardia nessuna mamma che abbia dato alla luce il proprio figlio a domicilio o in una casa maternità è mai riuscita ad ottenere il dovuto rimborso. Questo significa che, a differenza di quanto avviene in altre regioni italiane, la Sanità lombarda non ha mai dato attuazione alle disposizioni emanate , con il risultato di scoraggiare la libera scelta delle donne», accusa Maria Teresa Vaccaro , avvocato e presidente del Movimento promotore dell’iniziativa, la cui sezione provinciale ha sede a Gallarate.
La negazione del rimborso, infatti, contrasta con quanto previsto dalle stesse norme regionali , in particolare con quella dell’8 maggio 1987, che al punto 16 dichiara l’intento di "favorire la libertà di scelta da parte della donna partoriente circa i luoghi ove partorire e circa le modalità con cui tale evento debba svolgersi, perché la maternità possa essere vissuta, fin dall’inizio della gravidanza, come fatto naturale".
Per sostenere concretamente le nascite extraospedaliere, come la legge dell’87 la chiama a fare, la Regione dovrebbe impegnarsi a spostare parte delle proprie risorse economiche dagli ospedali alle coppie che ne fanno richiesta. Un’operazione che, non solo non implica ulteriori stanziamenti di fondi , ma favorirebbe addirittura un risparmio di denaro pubblico : «Infatti un parto in ospedale costa mediamente intorno ai quattromila euro, il doppio del valore di un’assistenza a domicilio», segnala l’avvocato Vaccaro.
Lasciare, invece, che siano le coppie a sborsare i duemila euro necessari per veder nascere il proprio figlio in casa equivale a farne, anziché un diritto, un lusso che non tutti possono concedersi: «In effetti la nostra associazione assiste, ogni anno, circa cinquanta donne in attesa , ma di queste almeno la metà conclude la propria gestazione in ospedale per evitare di accollarsi il costo del nostro servizio», dichiara Marta Campiotti. L’ostetrica aggiunge un altro dato significativo: «Paradossalmente il nostro gruppo, che nel Varesotto è formato da 4 professioniste, spesso viene chiamato ad operare nelle vicine provincie di Verbania o di Novara, dove la Regione Piemonte concede alle mamme il rimborso previsto senza alcuna difficoltà».
Di conseguenza, il Movimento per la difesa del cittadino del Varesotto ha preso carta e penna, indirizzando una lettera all’assessore regionale competente Luciano Bresciani , alla direzione generale della Sanità lombarda e al Difensore civico regionale . In essa l’associazione chiede: “di essere convocata al più presto al fine di poter discutere personalmente sul tema ed addivenire quanto prima ad una soluzione che assicuri e garantisca la tutela concreta, e non più solo astratta, alle donne che intendono partorire al proprio domicilio”.
A questo punto si attende la risposta della Regione, nella speranza che il rispetto delle norme legislative, ma anche il buon senso, conceda alle donne di vivere la maternità nel modo a loro più congeniale.
fonte: varesenews.it 28 maggio 2009
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