Siamo padri imperfetti, anche i nostri lo erano, ma diversamente. Del resto,la paternità è, per definizione, imperfetta. C’è una indiscutibile differenza tra la maternità e la paternità. La paternità è ipotetica, secondo Freud. Puoi accarezzare la pancia di tua moglie, puoi parlare con il feto, puoi mettere una mano per sentirne i movimenti, ma c’è poco da fare: sai bene che essere madri è un’altra cosa, è una certezza biologica.
Tu sei molto più insicuro di tuo padre: i nostri padri non si ponevano certi problemi e godevano di un’autorità ampiamente riconosciuta non solo in famiglia. Sei un padre più imperfetto di tuo padre, che sapeva, per tradizione familiare e sociale, che cos’è la responsabilità di crescere un figlio. Tu hai superato i cinquanta, hai tre figli ma sei ancora più figlio che padre, un po’ perché l’autoritarismo che hai subìto ti ha reso eternamente dipendente, un po’ perché il mondo asseconda un senso di precarietà che rende più facile cercare protezione che assumersi responsabilità. Hai combattuto, giustamente, l’autorità spesso repressiva di tuo padre, nato nel 1929, e per timore di riprodurne i soprusi e gli errori ha rinunciato anche all’autorevolezza. Sai bene che non c’è paternità senza autorevolezza, eppure fai sempre valere l’affettività. Ti guardi intorno e vedi che altri padri sono afflitti dall’apatia e dall’indifferenza: la tua generazione fa fatica a trovare un equilibrio tra vicinanza e distanza.
Quand’eri bambino, tuo padre ti abbracciava con parsimonia, tuo nonno preferiva stringere la mano a tuo padre. L’affettività e l’emozione spettavano, per lo più, alle madri. Oggi invece sei tu che tendi a sbaciucchiare e a stringere a te il tuo pargolo fino al quasi soffocamento: tua moglie meno. Fatichiamo a trovare la giusta distanza. Ci sono padri (e madri) che proteggono i pargoli fino all’ossessione: “Attento alla scalino”, “Attento a non cadere”, “Non correre”, “Non sporcarti le mani”, “Guarda che hai il vestito nuovo”, “Non fidarti di nessuno”… Ci sono i padri che pretendono di sostituirsi alle madri e se potessero lo alletterebbero loro, il bebè. Ci sono padri (e madri) che dimenticano i bimbi in macchina sotto il sole d’agosto, vanno in ufficio e non ci pensano più. E ci sono anche i padri (molto meno le madri) che non si accorgono di essere diventati padri, e continuano la loro vita come se nulla fosse. Un tempo, potevano permetterselo, perché la rete sociale della piccola o grande comunità riusciva a creare una protezione, ma oggi…
La piccola Maria, cinque anni e mezzo, chiede spesso al suo papà di non andare a lavorare: “Odio il tuo lavoro!”. Tu che oggi sei un padre cinquantenne non ricordi di aver mai rimproverato a tuo padre di andare in ufficio. Non avresti mai osato tanto. Maria non solo osa, ma ti trattiene, ti trascina nella sua cameretta per un ultimo gioco, sa di poter agire sul tuo senso di colpa, perché tu quel senso di colpa non riesci a nasconderlo: ti scusi, prometti che tornerai presto, le dai un bacino, un altro bacino, aggiungi che magari porterai una sorpresina. Se per caso torni senza un regalino qualunque, lei te lo ricorderà, rimarrà offesa per un po’ e poi tornerà a trascinarti in cameretta e ti convincerà a giocare proprio mentre la mamma chiama per la cena. Che fare?
Alzare la voce, provando per una volta a far valere la tua fiacca autorità paterna, oppure fingere di ignorare la voce di tua moglie e resistere dentro la bolla di provvisoria felicità in cui sei immerso da non più di dieci minuti con tua figlia. Scegli una via di compromesso: ti alzi e cerchi con le buone di convincere la piccola che è ora di sedersi a tavola e le giuri che dopo cena riprenderete a giocare. Ma tua moglie è lì dietro di te con le braccia incrociate al petto e ti avverte subito che dopo cena la piccola va dritta a dormire perché domani deve svegliarsi presto e come al solito bisognerà correre. Ti senti il vaso di coccio tra due vasi di ferro, madre e figlia. Il paradosso è che non aspiri affatto a diventare un vaso di ferro, anzi sai che solo rassegnandoti all’essere di coccio riuscirai a sopravvivere, dunque cerchi di defilarti e lasci che siano loro due a risolvere la questione cruciale gioco-cena. Sai che hai perso molto terreno sulla via dell’obbedienza presente e futura, e forse anche del rispetto, ma non sai fare di meglio. Sai che non resisterai neanche alla richiesta di ogni sera: “Papà, mi racconti una fiaba?”, e rispondi: “Se mangi tutto, ti racconto una fiaba”. Sai che anche se non mangerà proprio tutto, una storia se la meriterà. E ovviamente lo sa anche lei.