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Storia della paternità in tv: dai Cunningham ai Simpson, così è cambiata la paternità
Pubblicato il: 19/03/2012  Nella Sezione: Società

Provate a immaginare un figlio come Ricky Cunningham con un padre come Homer Simpson. Ad avere qualche problema sarebbe il ragazzo, educato ai sani principi della provincia americana degli anni Cinquanta di fronte al rozzo e maldestro operaio giallo. Le serie tv raccontano l’evoluzione della famiglia. Come cambiano i genitori, i figli, i rapporti. Che siano cartoni animati o personaggi in carne e ossa, negli ultimi quarant’anni i protagonisti della lunga serialità hanno tracciato una linea che rispecchia un’evoluzione e rivede, benché entro i limiti del piccolo schermo, l’assetto del laboratorio-famiglia. Prendiamo i padri, ad esempio. Da figure solide e rassicuranti sono divenute via via sempre più problematiche, deistituzionalizzate. Da Howard Cunningham di Happy Days, insomma, al Dylan McDermott di American Horror Story. In un’ampia gamma, abbiamo provato a selezionare alcune figure rappresentative.

Classici formato tv. Alcuni papà americani ci hanno accompagnato al fianco di quelli reali, tra l’infanzia e l’adolescenza. La vita non sarebbe stata la stessa senza il bonario sarcasmo di Howard Cunningham, il papà di Happy Days, così placido in quel porto di mare che era la sua casa di Milwakee, sempre aperta alle incursioni degli amici di suo figlio Ricky. Lo stesso atteggiamento ironico che caratterizzava l’altro paffutello papà di Sacramento, il vedovo Tom Bradford (Dick Van Patten) alla testa di una truppa di otto figli. Papà rassicuranti, vicini ai figli senza essere amici, autorevoli e tranquilli. Campione di ironia anche il papà medico Cliff Robinson, alter ego televisivo di Bill Cosby. Benestante, sposato con un avvocato di grido e padre di cinque figli. Eppure sempre presente in casa, dove ciondolava tra il divano e la cucina dispensando consigli e battute fulminanti.

Nella frontiera americana, sperduto nella piccola casa di un paesino del Minnesota chiamato Walnut Grove – appunto, La piccola casa nella prateria -  c’era anche il più bello di tutti: Charles Ingalls. Ma il suo ruolo di padre solido e amorevole metteva in secondo piano la sua avvenenza fisica. Camicia a quadri e bretelle, il padre delle ragazze del west interpretato da Michael Landon è una pietra miliare dei genitori tv. Lavoratore instancabile, marito e padre modello, basa la propria vita sulla famiglia, l’onestà, la lealtà, il coraggio e l’ amore. La carriera dell’attore, scomparso nel 1991 a 54 anni, resterà per sempre legata a quel ruolo. Tra i classici, ma “mostro” per nascita, c’è il primo padre “anomalo” del nostro percorso: l’ipertiroideo Gomez Addams dell’omonima famiglia (John Astin). Doppiopetto gessato, sigarone e rosa tra i denti, Gomez ha impersonato il freak della società benpensante degli anni Sessanta. Che amava sedurre la moglie Morticia chiamandola querida.
 
Padri post contestazione. Fra gli anni Settanta e gli Ottanta qualcosa si incrina anche in tv. E pure l’immagine perfetta del buon padre di famiglia.  Simpatico ma meno solido dei suoi predecessori è Steven, il papà hippy di Casa Keaton, che mostra la sua impreparazione di figlio dei fiori di fronte all’edonismo reaganiano del figlio Micheal J. Fox, yuppie in erba. Dan Conner (John Goodman) era il papà di Pappa e Ciccia. Specchio della middle class americana, la serie – in stile sit com – affrontava temi scottanti come l’obesità, il femminismo e l’omosessualità. Ma il punto di rottura, con i padri che diventano un punto di non-riferimento, è segnato da Homer Simpson, il giallo paterfamilias di Springsfield. Scansafatiche patentato, con uno stile di vita che non è certo un buon esempio per i suoi tre figli, ama chiamare il figlio Bart “bacarospo” e ogni occasione è buona per una minaccia. “Adesso andremo a parlare con i vostri insegnanti e se sarete stati bravi porterò le pizze, altrimenti veleno”. Potrebbe sembrare terribile, se non fosse che Homer, teneramente innamorato della moglie Marge, è anche un adorabile esempio di amorevole padre di famiglia. La moglie Marge lo chiama teneramente ‘papino’.
 
Disgregazione, perché no? Con il passare degli anni i papà sono sempre meno monolitici e sempre più spesso affannati alla ricerca di un equilibrio. Prendiamo Giulio Cesaroni, perfetto esempio di capofamiglia alla guida di una famiglia/tribù allargata di cinque figli in bilico tra l’infanzia e l’adolescenza, con il fascino rude e sornione di Claudio Amendola. O Lele Martini (Giulio Scarpati) diUn medico in famiglia,  ormai diventato nonno, che continua a fare acrobazie per gestire una famiglia che più allargata non si potrebbe.
 
E poi c’è un concentrato di padri moderni e esilaranti, tutti nella pluripremiata serie Modern Family. C’è il vecchio Jay Pritchett (Ed O’Neill) padre burbero e inossidabile che si piega solo di fronte ai capricci della moglie bomba sexy Sofia Vergara; c’è Phil Dunphy (Ty Burrell) che impersona il padre “peter pan”, così irrisolto da non azzeccarne neppure una nel rapporto con i figli; e ci sono i papà gay Mitchell Pritchett (Jesse Tyler Ferguson) e Cameron Tucker (Eric Stonestreet). Di gran lunga i più convenzionali della serie, pazzi d’amore e di attenzioni per la piccola che hanno adottato. Un’epoca così confusa che per trovare un padre tradizionale dobbiamo ricorrere all’indimenticabile Tony Soprano (James Gandolfini), stretto tra il rapporto con la madre Livia, autoritaria e fredda, e l’attaccamento smisurato verso moglie e figli dai quali cerca di continuo affetto e approvazione.
 
Eroi e antieroi. C’è un periodo nella vita dei figli in cui la figura paterna assume connotati eroici. Ma alcuni papà della tv, eroi lo sono davvero. Il più recente, e il più coraggioso considerato il genere di nemici con i quali ha a che fare, è senza dubbio Rick Grimes (Andrew Lincoln), un agente di polizia che si risveglia dal coma qualche settimana dopo che il mondo è stato invaso dagli zombie. Il suo unico scopo è ritrovare e portare in salvo la moglie e la figlia. E nel fare questo diventa il leader mondiale dei sopravvissuti.
 
Un’altro papà di bella presenza richiede un salto temporale enorme, fino al 2149 e contemporaneamente indietro fino a 85 milioni di anni nel passato. Lì, a Terranova, nella serie kolossal (e flop) prodotta da Steven Spielberg e interrotta dopo la prima stagione, c’è un altro babbo niente male. Jim Shannon, poliziotto dall’apparente età di 35 anni (ma con i figli già grandi) è un papà coraggioso, forte e innamorato della moglie e della sua famiglia. Un marito in grado di dire alla sua sposa, dopo aver attraversato una frattura spazio-temporale e terribili esplosioni: “La missione della mia vita è ritornare sempre da te”.
 
Eroe ma con riserva (da parte dei telespettatori) l’ambiguo protagonista di Homeland, Nicholas Brody (Damian Lewis). Rapito in Iraq e tenuto prigioniero per otto anni, torna in una famiglia devastata dalla sua assenza. Sul suo capo pende il sospetto dell’FBI che pensa possa essere una cellula dormiente di Al Qaida ma, nonostante questo, in pochi giorni riesce a ristabilire un contatto con la figlia Dana, adolescente che fuma crack nella sua camera.
 
Infine un brivido misto di ammirazione e paura per papà Ben (Dylan McDermott). Padre psicologo e fedifrago è immerso fino al collo nelle atmosfere della casa infestata di American Horror Story, ma soprattutto in quelle di una famiglia in via di disgregazione, al punto da non accorgersi che la figlia non è più viva da un po’. Metafora della molta distanza che talvolta intercorre fra padri e figli e che questa serie racconta in chiave horror ma senza allontanarsi troppo da molte realtà.