"Cerca di volerti bene". "Cerca di volertene anche tu". E' più o meno con queste parole - le ultime, le più edificanti - che ci siamo lasciati, se escludiamo i messaggi e il silenzio inutili, le parole straripanti o la loro totale assenza, che è infondo la stessa cosa e quindi la sostanza non cambia: il troppo e il nulla sono un po' come gli ultrasuoni, oltre una certa frequenza i rumori cessano di essere percepiti e davvero diventa difficile decidere se sia più silenziosa una voce assordante o il silenzio stesso. Che poi, non è vero che il silenzio non abbia voce e non risponda: anzi, lo fa e spesso, sebbene con parole udibili solamente da chi è in grado di capirle.
E' mai possibile volere bene a se stessi se noi stessi non siamo propriamente isole abbandonate, ma come minimo degli arcipelaghi? Noi non siamo individui, ma mondi interi. Bella o brutta che sia, abbiamo una storia, delle relazioni più o meno articolate e rapporti felici o che ci fanno stare male: cose imprescindibili, che ci appartengono e costituiscono, che ci identificano. La nostra stessa identità non è con noi stessi, ma col mondo di cui siamo lo specchio.
Volere bene a se stessi significa cancellare il passato con un colpo di spugna, ma senza un passato che mai saremmo? E senza il ricordo o la nostalgia, potremmo mai considerare di avere un carattere, un'appartenenza, un'origine? Potremmo camminare senza le cellule che si sono formate ieri? Non lo credo: senza un trascorso saremmo dei monchi ambulanti. Volere bene a se stessi non significa altro che dimenticare e vuol dire anche trovarsi nel mezzo della propria vita con la prima metà azzerata, vanificata, resa nulla in ogni suo significato.
Tempo fa, qualcuno parlò di 'eterno ritorno' ovvero della circolarità della storia che periodicamente torna a ripetersi. Recentemente, qualcun altro ha inteso lo stesso concetto non come ritorno del passato, ma come ritorno al passato. A volte, quando il ritorno non è memoria, ma è la ragione stessa della vita, il vivere nel presente non è altro che nichilismo, e del più puro: ogni cosa attuale non riveste importanza alcuna, non conta più niente, se non come pretesto e occasione per un viaggio nel passato, nello stesso identico posto di sempre, dove la meta coincide con l'episodio che ci ha segnati. E' questo l'altro risvolto del discorso sul voler bene a se stessi e sull'appartenenza, l'altra faccia sull'identica moneta. Il passato come punto d'arrivo invece che di partenza, il ritorno fisico a ciò che abbiamo perduto, non semplicemente e soltanto il suo ricordo. In ogni caso, è sempre il presente che ci rimette, sia che esso sia qualcosa di assolutamente svalutato e sia che esso non sia altro che la somma man mano più assottigliata dei giorni. Gli stessi che nella memoria si ammassano sempre più numerosi o che nella vita non concedono spazio ad altro se non al gelo. Non a quello che ci causano altri, ma quello che ci portiamo dentro, e da sempre.
Comunque si voglia intendere il passato e l'appartenenza, qualunque sia il senso del percorso intrapreso, dal passato al presente o dal presente al passato, a prescindere dal senso che vogliamo dare alla nostra vita, sia esso un inno o la più totale svalutazione - lo ripeto ancora una volta - la nostra stessa identità non è con noi stessi, ma col mondo di cui non siamo altro che lo specchio.
Ed è cosa davvero ardua il volere bene a se stessi, soltanto a se stessi, con un simile presupposto.