“Ecco la quinta parte dell'articolo di Paterpeur, un papà che si racconta. Leggete anche la prima parte , seconda parte , terza parte e la quarta parte (laRedazione)”
È necessario fornire ai bambini gli strumenti per cogliere e gestire emozioni, stati d’animo e sentimenti. Un primo passo può essere riconoscere in noi stessi il ruolo che hanno emozioni come la rabbia. Mi sono spesso trovato a rendermi conto che con Samuele in macchina non posso mandare a quel paese gli automobilisti che (faccio un esempio) svoltano senza metter la freccia. Cosa sto comunicando a mio figlio in quel momento? A posteriori mi vergogno di me ma lì sono preda di un’emozione, di pensieri “tossici” e mi trovo a esser convinto che tutti dovrebbero guidare esattamente come guido io e allora sì che le strade sarebbero dei bei luoghi… Questi pensieri sono ciò che Mario Di Pietro chiama “doverizzazioni” e sono errati. Al volante pensieri, pregiudizi ed emozioni si danno man forte e troppo spesso io non li governo. Sono vittima di una spirale che si autogiustifica. Ecco, se io imparo a riconoscere questa deriva, a controllarla e a non esserne vittima, allora ho acquisito un bel po’ di intelligenza emotiva.
L’esempio della guida è fortemente paradigmatico: magari al mattino si è in ritardo e questo ci agita, il comportamento degli altri al volante lo prendiamo come un affronto personale, i ragionamenti che facciamo paiono darci l’ok all’incazzatura, alla fine perdiamo il controllo e scarichiamo la rabbia sul primo malcapitato mandandolo affanculo.
Se io riconosco nelle persone che mi circondano segnali emotivi, indizi o pensieri “tossici” (“non me ne va mai bene una”, “non valgo nulla”, “non tollero che”, “è terribile”…) e se provo ad avvicinarmi, allora ho fatto ancora un passo.
Se scorgo i segnali lessicali tipici dei pensieri tossici (“che cosa stupida ha fatto quello stupido lì!”) e tento di chiamare le cose con il loro nome, allora ho fatto ancora un passo.
Se mi avvicino a mio figlio e tento di comprendere il suo stato d’animo, aiutandolo a dargli un nome, allora lo aiuto ad accrescere la sua solidità emotiva.
Questa solidità lo aiuta a fidarsi dei suoi sentimenti, a gestirli e a riconoscerli negli altri.
Sempre Ianes viene in aiuto con uno schema d’azione:
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Osservare, osservare, osservare i segni affettivi
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Allearsi con il vissuto affettivo, dare ascolto empatico
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Dare un nome ai vissuti emotivi (anche per questo il dilungarsi su cosa siano le emozioni gli stsi d’animo ecc.)
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Elaborare strategie d’azione
Paterpuer: http://paterpuer.blogspot.com/