Ieri sera avevo voglia di musica a palla. Samuele giocava coi trenini sul tavolo, io lo guardavo in piedi e Paola era seduta. La musica era alta. Paola mi dice: “Ma hai freddo?”, io: “No, è l’emozione della musica”. Mi sono accorto che mentre lo dicevo stavo guardando lui e non lei, e lui mi guardava.
Di fronte al fatto che un bambino non ha tutte le menate degli adulti e si scaccola quando ha voglia di scaccolarsi, mangia con le mani, imbratta con leggerezza la maglina bianca appena indossata, noi adulti siamo portati a pensare che impartire delle regole sia necessario. Anche io la penso così. Le regole servono ai nostri figli, sono limiti, convenzioni, codici, copioni, che danno sicurezza ai bambini e comunicano il fatto che esse fanno parte della normalità.
Poi succede che la relazione fra grandi e piccoli sia molto più complessa e premiamo sul pedale delle regole quando la frustrazione di non capire o non saper gestire (termine brutto se si parla di persone) i comportamenti dei nostri figli ci mandano fuori di testa. Quando ci sentiamo illuminati siamo addirittura in grado di fungere da buon esempio sia per il rispetto delle regole, sia per la condivisione dei valori.
La realtà però è altra ed è spesso difficile da comprendere al meglio.
Ok le regole. Ma – per esempio – le emozioni? Come e quanto, dove e quando sappiamo far crescere i nostri figli anche sotto il profilo emotivo? Una buona scusa è sentirsi convinti del fatto che “queste cose non si possono insegnare” o addirittura sancire che “le emozioni è bene che ognuno impari a viverle da solo, sennò si rischia di perdere una parte importante della crescita personale, chi pretende di insegnare le emozioni vuole che i propri figli siano bamboccioni che non ragionano con la propria testa”.
La verità è (umilmente credo) che affiancare (è questo il termine esatto per una figura che stia educando) qualcuno nella propria crescita emotiva è terribilmente faticoso. Lo è perché impegna, lo è perché mette in gioco, lo è perché noi adulti abbiamo spesso un rapporto conflittuale con la sfera emotiva nel suo insieme, se è vero che qualcuno ha dovuto inventarsi l’esistenza di una “parte femminile dei maschi” per l’impossibilità di dire in italiano che gli uomini provano dolore, paura, gioia.
Come fare quindi? Come posso stare vicino a Samuele nella sua crescita emotiva? Non ho certo soluzioni, però inizio con il pensarci su, qualcosa verrà fuori…