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Sono io stesso che canto la mia ninnananna e non papà.
In braccio a lui, che mi dondola per addormentarmi quando sono stanco, eseguo una cantilena composta da una vocale sola: la 'a', mentre i miei occhi sono già chiusi nella piega del suo braccio destro, a cercare il sonno ancor prima della mia voce.
Poi di colpo taccio per entrare nel non-luogo della vita, il posto della dimenticanza e dell'incoscienza, dove mi basta soltanto respirare per rimanere immobile per ore.
Ma ieri, che ero in vena di scherzi e di sperimentazioni, prima di addormentarmi ho voluto vedere che effetto facesse la mia canzone su chi la stava ad ascoltare.
Coricato fra le braccia di papà, ad ogni 'a' prolungato voltavo la testa verso quella del mio genitore per osservarne la reazione. Poi tornavo a chiudere gli occhi contro il suo gomito interno e a cantare, quindi nuovamente a girare il capo per incrociare altri occhi che mi sovrastavano.
Sono andato avanti così, per diversi minuti, per saggiare l'indice di gradimento della mia musica.
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