Per i papà due settimane a casa per godere dei primi giorni di vita del proprio figlio. Senza dover rinunciare allo stipendio. Mentre per le neomamme venti settimane a stipendio pieno. E’ una piccola rivoluzione quella che il Parlamento europeo si prepara a votare mercoledì prossimo a Strasburgo in materia di famiglia, per cercare di andare incontro alle lavoratrici che vogliono vivere con serenità un momento importantissimo della vita e per cercare di responsabilizzare di più i padri. E soprattutto per cercare di rilanciare la natalità in Europa e incoraggiare le donne ad entrare nel mercato del lavoro.
Ma sulla proposta della socialista portoghese Edite Estrela, che stava per essere approvata già nel marzo scorso e che punta a sostituire il testo presentato dalla Commissione europea, si preannuncia una spaccatura tra i gruppi politici. Per ragioni ideologiche e per motivi economici, in un momento in cui molti Stati membri hanno già dovuto dare consistenti sforbiciate ai bilanci, non solo del welfare, per far fronte alla crisi. Se non passasse il rapporto, né gli emendamenti proposti, la palla tornerebbe nel campo dell’esecutivo comunitario, che ha già presentato, il 9 marzo 2009, una direttiva in cui si estende da 14 a 18 settimane il periodo minimo di maternità e si stabilisce l’obbligo di usare sei settimane dopo il parto, il diritto ad essere reinserite nello stesso posto di lavoro e il diritto della mamma a chiedere una modifica dell’orario e delle modalità di lavoro (ma senza l’obbligo per il datore di lavoro di accettare la richiesta).
Il rapporto della Estrela propone invece 20 settimane di congedo retribuito, con una spesa che si aggirerebbe introno allo 0,2% del pil per gli Stati membri, e l’introduzione di due settimane di congedo di paternità, che costerebbe circa lo 0,02% del pil. «La percentuale di donne che lavorano dovrebbe aumentare solo dell’1,04% per coprire i costi della proposta», spiega la relatrice, aggiungendo: «L’1% solo per l’estensione del congedo di maternità e lo 0,4% per quello di paternità».
Ma tradotto in cifre, secondo uno studio d’impatto (condotto su dieci paesi ma non sull’Italia), questo significherebbe per la Germania una spesa di 1,9 miliardi di euro in più all’anno e per la Gran Bretagna di 1,7. E in molti ritengono che si tratti di stime al ribasso. «La proposta del Parlamento ci costerebbe 2,7 miliardi di euro», osserva un portavoce del governo di Londra. Mentre i benefici – quali la salute del bambino, le pari opportunità e l’aumento del lavoro femminile – sono difficilmente quantificabili in termini economici.
I governi nazionali appaiono quindi nell’insieme contrari all’obbligo di uno stipendio intero per 20 settimane, anche se ce ne sono alcuni, come Polonia ed Estonia, che già lo applicano. E i sistemi nazionali sono così diversi da rendere difficile un’armonizzazione in tempi brevi. Tra le 14 settimane interamente retribuite della Germania e le 52 della Gran Bretagna, di cui solo le prime sei pagate al 90%, l’Italia, con i suoi cinque mesi di congedo obbligatorio, si posiziona nella media. Ma sul congedo di paternità non è d’accordo, inserendosi tra coloro che non vogliono aprire nuovi capitoli di spesa.
La settimana prossima a Strasburgo il Ppe presenterà degli emendamenti chiedendo uno stipendio integrale per le prime sei settimane e pari all’80% per le restanti 14, oltre all’abolizione delle due settimane per i papà, mentre l’Alde vorrebbe garantire un minimo pari al 75% dello stipendio. La battaglia si preannuncia aspra prima che il testo torni sul tavolo dei Ventisette. Dove circola un timore: che l’imposizione di regole troppo rigide e troppo favorevoli alle madri possa avere un tremendo effetto-boomerang, ossia quello di ostacolare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.
ilmessaggero.it
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