Aveva sette anni Sandrino, quando il papà non tornò più a casa. Il papà non era una persona qualunque, il papà era Valentino Mazzola, il Capitano. Il capitano del Grande Torino, di una delle squadre più forti di sempre, il simbolo di un gruppo invicibile che venne sconfitto il 4 maggio 1949 solo da un maledetto incidente aereo. Oggi Sandro Mazzola compie 70 anni, ripercorriamo la vita e la carriera di uno dei più grande giocatori del nostro tempo, una carriera nel nome del padre.
PAPA' VALENTINO - ''Ricordo la sua mano sulla testa, quando si entrava al Filadelfia e io ero la mascotte del Toro, mi sembrava che noi due insieme potessimo spaccare il mondo, mi faceva coraggio''. Questa è una frase che ricorre spesso nelle interviste che Sandro Mazzola ha rilasciato nella sua vita. Non ha mai dimenticato suo papà, non ha mai dimenticato quei tempi, quando Valentino lo portava sempre con sè al campo, tanto che a soli quattro anni era diventato la ''mascotte'' del Grande Torino. Si trovano facilmente le foto di quell'epoca, lui in campo con al fianco il padre. Adorava il pallone già allora il piccolo Sandrino, quando tirava in porta e il grande Bacigalupo si lasciava fare gol. Un nome importante e pesante, di cui andare orgogliosi ma che ti può anche schiacciare. All'inizio della sua carriera non erano in pochi che dubitavano. ''Gioca solo perchè ha quel nome'', ''non sarà mai come il papà'' frasi pesanti, frasi ingiuste. Aveva anche pensato di lasciare il calcio Sandro, per giocare a basket. Fu il fratello Ferruccio a convincerlo e a permettere al mondo del calcio di ammirare un fenomeno vero.
L'INTER NEL CUORE E LA RIVALITA' CON RIVERA - Bandiera dell'Inter come il padre lo era stato del Toro vince tutto quello che era possibile vincere tranne un mondiale, che gli viene negato prima dalla fatal Corea, poi da Pelè nella storica finale del 1970. Aveva debuttato in serie A nove anni prima, in uno storico Juve-Inter in cui Angelo Moratti fece andare in campo per protesta la primavera. Inter sconfitta 9-1, e unico gol nerazzurro firmato Mazzola. Sotto la straordinaria guida del Mago Herrera porta i nerazzurri sul tetto del mondo e diventa il simbolo di una incredibile rivalità con Rivera, creata dai giornalisti ad uso e consumo dei giornalisti stessi e del pubblico. Mazzola-Rivera, Inter-Milan, diventa un tormentone senza fine; come con Coppi e Bartali ci si divide, si decide con chi stare e se ami l'uno odi l'altro. Ne risente la Nazionale, Valcareggi inventa la ''staffetta'' e nega agli italiani la possibilità di vedere quei due insieme. L'Italia vince gli Europei del '68 e perde in finale il mondiale messicano sconfitta da un Brasile immenso che i giocatori di classe li faceva giocare tutti insieme, e non uno alla volta.
UNA VITA DI TRIONFI - Nel 1971 Mazzola sfiora persino il Pallone d'oro, vinto proprio da Rivera due anni prima. Ottiene un voto in più di George Best, ma viene sconfitto da Cruijff al primo dei suoi tre trionfi. Al momento del suo ritiro nel 1978 ha vinto 4 scudetti, 2 Coppe Campioni, 2 Coppe Intercontinentali e un Europeo, e scusate se è poco. Lasciati i campi da gioco si dedica alcune esperieze come dirigente: Inter, Genoa, poi ancora Inter quando c'è il ritorno di un Moratti, Massimo, figlio di Angelo,come presidente. Dal 2000 al 2003 sotto la presidenza Romero lavora come responsabile dell' area tecnica al Toro, in una operazione da libro Cuore che però non porta grandi frutti. Adesso è un apprezzato commentatore tv, uno dei pochi capace di mantenere una misura, uno stile, a molti ormai sconosciuti. Il simbolo di un calcio più umano, in cui l'Italia era ancora centro e non periferia. Il figlio di un mito diventato grande con le sue forze.
Tanti auguri Sandrino, papà sarebbe orgoglioso di te.
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