Cinquantamila uomini, cinquantamila padri che un tempo furono anche mariti. In cerca di un aiuto, di un sostegno, di un appoggio. In cerca di una casa. La Casa del padre separato. A Milano si farà. In via Calvino, zona Mac Mahon. Un centro da 160 posti letto, con camere singole e doppie. Con la mensa, un piccolo giardino e una biblioteca. Ci sta lavorando la Provincia e ci sta lavorando il consigliere leghista Matteo Salvini, che «strapperà» al progetto centomila euro dal bilancio del Comune. «Ho già pronto l’emendamento», garantisce. Non sarà un dormitorio, qualcosa bisognerà pagare. Cento-centocinquanta euro al mese. Un affitto sociale per una categoria di nuovi poveri. Perché la prima spia si era accesa proprio nei dormitori. In Via Saponaro, al Gratosoglio, dormono in media quattrocento ospiti. La colonia dei padri separati ha messo radici qualche anno fa. Con i prezzi delle case alle stelle e la crisi economica, la colonia si è allargata. «Ora almeno ottanta ospiti appartengono alla categoria», racconta padre Clemente Moriggi, il francescano che gestisce il centro. Clochard temporanei. Mantengono (ex) moglie e figli, senza più soldi in tasca né tetto sotto cui dormire. «Il pericolo è proprio questo — continua padre Clemente —: che da temporanei diventino clochard fissi. Perché un padre separato, in difficoltà prima affettiva e poi pure economica, corre il rischio più grande: perdere fiducia nella vita».
L’associazione matrimonialisti italiani ha calcolato che a Milano, tra città e provincia, di uomini che vivono questo tipo di difficoltà ce ne sarebbero, appunto, quasi cinquantamila. Con un mutuo da coprire (quello della vecchia casa), un assegno da versare, un affitto da pagare (per la nuova abitazione). «Il calcolo si fa presto», dice Domenico Fumagalli, responsabile lombardo dell’associazione dei papà separati: «Servono almeno millecinquecento-milleseicento euro». Uno stipendio, in pratica. A volte non basta nemmeno quello. La seconda segnalazione arriva dal tribunale. «Negli ultimi mesi c’è stato un boom di cause per rivedere gli assegni di mantenimento», dice Cesare Rimini, avvocato matrimonialista. In pratica, quello che qualche anno fa un (ex) marito poteva garantire alla ( ex) consorte, ora non è più in grado di garantirlo. E poi c’è la crisi. Fumagalli dice che circola anche una specie di legge di Murphy sul tema: «Ti licenziano? E allora è molto facile che ti separerai». Le ragioni sono sociali, psicologiche, familiari. «Sta di fatto che la nostra associazione — terza spia che s’accende — ha registrato un boom di adesioni proprio dalle zone più colpite dai licenziamenti. L’area di AgrateVimercate, per esempio, dove hanno chiuso diverse aziende».
«Il grande problema rimane la casa», dice Rimini: «È già difficile mantenerne una, immaginarsi due». Una casa pubblica per i papà separati, allora. Il Comune qualcosa ha già provato a fare. Tra gli appartamenti appena requisiti in città alla mafia, un paio di monolocali andranno proprio alle associazioni che tutelano i papà separati. In via Calvino, ma anche in cascina. Una, almeno una, tra le tante abbandonate che si vorrebbero recuperare ( anche) in vista di Expo 2015. «Avevamo chiesto qualche anno fa la cascina San Bernardo, a due passi da Chiaravalle», racconta padre Clemente. C’era anche lo sponsor, per finanziare il restauro. Non se ne fece nulla. «Ci riproveremo».
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fonte: milano.corriere.it del 18 gennaio 2010
articolo di: Andrea Senesi
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