Una volta le cattive ragazze usavano le parole taglienti, i pettegolezzi malevoli, la calunnia. Oggi arrivano sempre più frequentemente ad imitare i colleghi maschi usando l’intimidazione fisica, arrivando a comportamenti violenti. Tanto che la Procura di Milano ha dato l’allarme: il 10% dei minori sotto indagine è di sesso femminile, pari a quasi 200 fascicoli in un anno.
Dietro agli atti di bullismo, a comportamenti deliberatamente aggressivi e di prevaricazione nei confronti dei coetanei, si nasconde il profondo disagio dei giovani, maschi e femmine che siano.
Crisi esistenziali, sfiducia in sé e negli altri, fatica a trovare la propria identità e a costruirsi il proprio progetto di vita sono condizioni psicologiche che portano i giovani a vivere in uno stato di perenne ansia, insicurezza e soprattutto di impotenza rispetto a ciò che stanno vivendo. Questi giovani si trovano, inoltre, ad avere gravi problemi relazionali, la cui causa principale si ritrova nelle scarse capacità empatiche che possiedono e nell’inconsapevolezza dei propri stati emotivi: presupposti necessari per una adeguata gestione della vita affettiva, in mancanza dei quali i ragazzi tendono ad agire comportamenti istintivi non mediati dal ragionamento.
In questa condizione di fragilità e di esistenza traballante, l’istinto aggressivo ricopre la sua specifica funzione, descritta da K. Lorenz, di garantire la sopravvivenza dell’individuo. Con i suoi comportamenti il bullo vuole gridare al mondo: “esisto e anch’io valgo qualcosa! Non sono una nullità!” Rispetto alla totale inconsistenza esistenziale, un’identità negativa risulta una soluzione migliore. Il riconoscimento da parte dei compagni, la loro stima e la vittoria sulla vittima diventano i segni tangibili della propria capacità a realizzarsi e sostengono il perpetuarsi di comportamenti violenti.
Come mai di questo viraggio nelle ragazze? I confronti verbali, a volte logoranti ma decisamente più adatti alla donna, i ragionamenti basati sulle proprie sensazioni, la parola affilata che ferisce senza toccare il corpo altrui vengono abbandonati a favore di un linguaggio muscoloso, fatto di poche parole, poco o nessun ragionamento, ma molto scontro fisico. Questo atteggiamento sembra quello che permette di ottenere potere, riconoscimento e raggiungere i propri obiettivi, molto spesso più concreti che psicologici. La realtà per queste ragazze è infatti solo concreta: la stima è legata all’abbigliamento, al possesso di oggetti e non a caratteristiche personali; l’affetto è amore fisico, è corpi nudi e non vicinanza e affinità caratteriali.
I loro atti di bullismo sottendo un disagio ancora maggiore rispetto a quello maschile, in quanto oltre alle tematiche sopra descritte che condividono con l’altro sesso, le ragazze hanno perso il loro linguaggio femminile e il contatto con la loro natura. Usando “le mani”, manifestano la totale perdita di stima e fiducia nei confronti dell’identità femminile, adattandosi a modalità non adatte al loro percorso evolutivo. Non è, quindi, solo una questione di disagio (esistenziale, adolescenziale e sociale), bensì a tale risultato collabora lo smarrimento del mondo femminile che fa fatica a ritrovare una propria dimensione in una società nella quale il modello maschile è quello vincitore.
Per questo è ancora più importante il ruolo delle madri nei confronti di queste figlie: un ruolo che non è solo affettivo ed educativo (e già il compito è arduo…), ma richiede anche una reale autenticità nei confronti della propria storia familiare al femminile. In altre parole, non si può insegnare alla propria figlia ad apprezzare la propria femminilità se non si è apprezzata quella della propria madre. La trasmissione di tali valori deve avere radici profonde e genuine, altrimenti si comunicano esclusivamente concetti teorici privi di reale contenuto.
Non è mai troppo il richiamo a scuola e famiglia perché riassumano il loro ruolo educativo a largo spettro (che comprenda valori, morale, affetti e sentimenti), imparando ad ascoltare e comprendere i giovani. Ma ciò non sarebbe sufficiente, perché queste ragazze, inoltre, hanno bisogno di una madre che le aiuti ad attraversare questa turbolenza fatta di valori sbiaditi, identità femminili svalutate e abbandonate, obiettivi imposti o troppo lontani, e che, come le levatrici, le aiuti a far nascere quella creatività che permette di trovare la propria identità e il proprio equilibrio. Hanno bisogno di ritrovare la forza che dalla madre, dalla nonna, dalla bisnonna arriva fino a loro esprimendosi con la voce dei sentimenti, delle parole condivise, dei corpi e dei mestieri femminili che hanno permesso alle varie generazioni di realizzare progetti e concretizzare sogni.
fonte: guide.supereva.it
articolo di Monica Oriani